Filippo Mosca telefona dal carcere in Romania: “Io, umiliato e senza dignità in una cella con topi e rifiuti”

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«È inimmaginabile come si possa sentire una persona trattata così». Ventinove anni, Filippo Mosca da nove mesi è in carcere in Romania. E da nove mesi denuncia condizioni disumane. Nel corso di una telefonata alla madre che Repubblica ha avuto modo di ascoltare, racconta il suo calvario, mese dopo mese, struttura dopo struttura. La voce spenta si rompe quando scende nei dettagli.

«I primi 28 giorni li ho passati in una cella piccolissima. La doccia era un tubo che scendeva dal tetto e sotto c’era un bagno turco. Ci si lavava e si andava in bagno nello stesso buco. La stanza era piena di scarafaggi, ti camminavano anche addosso». Filippo era lì con un altro italiano, arrestato insieme a lui l’ultima sera di quella che avrebbe dovuto essere una vacanza. Tutta colpa di un pacco che una conoscente aveva chiesto di far recapitare al loro albergo,perché il corriere – diceva – non riusciva a individuare il suo. Solo troppo tardi Filippo ha scoperto che dentro c’erano 150 grammi di droga. Subito lei lo ha scagionato, ma non è servito. Ed è finito in carcere. «È stato difficilissimo. Le guardie erano ostili, da straniero non sapevo cosa mi stesse succedendo» .

Dopo quelle prime settimane viene trasferito a Poarta Alba. «Ci hanno portato in una cella della sezione 5 inutilizzata da tempo. Era un tappeto di escrementi. Anche i materassi, tutti mangiati, erano pieni. C’erano moscerini e mosche dappertutto. Accanto al bagno, un secchio enorme pieno di immondizia. Una situazione disumana», dice Filippo. «Mi sono sentito umiliato, senza dignità». «Pulite», hanno ordinato le guardie lasciando solo una scopa e uno straccio sporco. «Abbiamo provato per otto ore a rendere vivibile quel posto, poi siamo crollati. Di mattina presto, il mio amico mi ha svegliato perché sentiva dei rumori dentro le borse. Ci ho trovato dentro un ratto grande quanto un gatto. Non eravamo mai soli in quella stanza, continuamente uscivano topi dalle tubature». Chiedere trappole o veleno è stato inutile. «Le guardie hanno riso e mi hanno detto “Benvenuti in Romania”». Formalmente Filippo e l’amico erano stati chiusi lì perché in quarantena. Ma nel giro di pochi giorni la cella ha iniziato a riempirsi. «Era estate, faceva caldo, la puzza era inimmaginabile, avevo continui attacchi di panico e ansia».

Ventuno giorni dopo è stato trasferito «nella sezione 4 camera 9». ma la situazione -racconta- non è certo migliorata. Anche perché il carcere in Romania – spiega – è una sorta di discarica sociale, in cui finisce per lo più gente che ha bisogno di tutto. «Ci rubano il cibo, i vestiti. C’è un mercato nero degli abiti.. Molti qui sono poveri, analfabeti». Ma i soldi servono. Perché «il rancio è tanto disgustoso che solo chi non ha mezzi lo accetta», ma «allo spaccio i prezzi sono quadruplicati rispetto all’esterno». Bisogna comprare tutto, anche l’acqua «altrimenti c’è solo quella dei rubinetti ed è gialla».

Più che un carcere, racconta Filippo, Poarta Alba «sembra una fattoria». Fatiscente. Il pavimento è una colata di cemento. I bagni, buchi ricavati a terra, perennemente otturati. «Non ci sono finestre e adesso fuori c’è la neve. Si gela». Per la doccia «devi percorrere un lungo corridoio, ma gli accappatoi sono vietati. È umiliante». Dentro non si può fare nulla, solo aspettare che il tempo passi, mentre se ne perde la cognizione. La luce non viene spenta mai. Non esistono attività formative o ricreative, «di giorno il regolamento del carcere vieta anche di dormire». L’unico diversivo possibile è una poesia da mandare a memoria una volta al mese. Dall’esterno, Filippo riceve dei libri. Farmaci no, eppure ne avrebbe bisogno. «Sono consentiti solo quelli passati dall’infermeria. Ho provato ad andare in ospedale, ma non ho risolto nulla. Mi hanno solo tolto l’accesso anche ai soldi che la mia famiglia mi aveva mandato».

Dopo l’aggressione subita, Filippo è stato spostato in un’altra cella. É più piccola, ci sono solo italiani, sono di meno. Ma è ancora terrorizzato. «Ho ancora attacchi di panico», racconta. «Non avrei mai pensato di finire in carcere e questa cosa mi strazia perché sento di non avere gli strumenti per difendermi».

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