A Gaza le nostre case demolite di proposito. Così i raid ci spingono a lasciare per sempre la Striscia

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RAFAH – Due barattoli di fagioli in sei per due giorni. La mia vicina di rifugio mi fa vedere le scatole. Sono una conquista. E sono anche il segno della fine. Per strapparle a uno dei pochissimi camion di aiuti filtrati a Rafah nelle ultime ore è quasi soffocata. Ma sa che non sazieranno i suoi quattro figli, lei e suo marito.
Sessanta camion di aiuti per un milione di persone, un quarto del sostegno umanitario della settimana scorsa, per una popolazione che è raddoppiata con l’esodo verso il confine imposto da Israele da Khan Yunis ora sotto i bombardamenti.

Eppure noi a Rafah dobbiamo ritenerci fortunati, per quei barattoli di fagioli. Nel resto della Striscia il sostegno internazionale non arriva e il cibo è finito da tempo.
A Gaza la guerra della fame è già scoppiata – dice Nawras Abu Libdeh della ong Medical Aid for Palestinians – e questa è la peggiore di tutte le guerre”.
Non so dire se sia la guerra “peggiore”, è difficile classificare il peggio quando ci si sta dentro.

So solo che ho visto la gente calpestata per una bottiglia d’acqua. Un solo litro per un’intera famiglia. Ho visto le pietre lanciate sui camion dell’Onu per tentare i saccheggi spinti dalla disperazione, ho visto l’ordine sbriciolarsi sotto l’onda d’urto della fame e della sete. I poliziotti scortano i convogli, sparano in aria. Ma a molti sembra meno dura una pallottola che tornare alla propria tenda senza un sacchetto di farina.

Io mi ritengo fortunato: riesco a comprare ancora qualcosa al mercato nero, anche se a 5 volte il prezzo di prima della guerra. Ma tra un po’ sarà finita. Cosa contano i soldi quando tutto è crollato?

Neanche più gli alberi restano in piedi. Quelli nelle strade sono stati tagliati tutti. Il gas è finito e la gente va in giro con coltelli e accette per procurarsi legna da ardere. Adesso qui a Rafah abbiamo cominciato a tagliare gli alberi del cimitero. La guerra cancella anche l’ombra nella casa dei morti.

Le case dei vivi non ci sono più. Il 40 per cento degli edifici di Gaza è stato raso al suolo. Ho parlato con dei miei amici rimasti a Khan Yunis e mi hanno detto che gli israeliani si sono accaniti su un bel quartiere con dei palazzi alti ed eleganti. Tunnel lì sotto? Non credo. La convinzione degli abitanti di Khan Yunis è che l’abbiano abbattuti perché erano belli.
Gli americani dicono che sia per via della caccia di Hamas, dicono che siamo “scudi umani”. Ma né io né nessuno dei miei familiari ha più visto un uomo di Hamas in giro da tempo. Sono là sotto, chissà dove. Intanto il nostro mondo di sopra viene cancellato.
Siamo tutti convinti che ogni singolo pezzo di Gaza di cui si poteva andare fieri sia stato abbattuto di proposito per far sparire la nostra casa dalla faccia del mondo.
Non è una teoria complottista. Avviene sotto l’occhio dei satelliti. Lo vedete anche voi in diretta da tutto il mondo. So che qualcuno ha coniato una parola: “domicidio”, lo sterminio deliberato delle case, una parola che potrebbe servire a giudicare domani quello che sta avvenendo qui.

Domani. Ma per noi sarà tardi. Qualunque cosa potesse essere ricondotta alla civiltà è stato annientato a Gaza. L’informazione falciata dall’uccisione dei giornalisti. Il Centro Culturale Rashad Shawa è stato polverizzato, ed era una istituzione che non aveva il benché minimo rapporto con Hamas. Moschee del 1200 non sono state risparmiate.

Viene cancellato il presente e la storia. Perché è Gaza a dover essere tolta dalla carta geografica. Non c’è una sola persona ormai che non lo ripeta. Sentiamo parlare del futuro di Gaza, di come dovrà essere organizzata. Ma chi rimarrà a Gaza? Tutti sono convinti che in un modo o nell’altro verremo tutti spinti fuori da qui. Nel Sinai. Per un periodo o in attesa di essere sparpagliati nel mondo.

Io a questo punto lo spero. Cosa potremo chiamare casa qui dentro? Le rovine? Spero che le mie figlie, due gemelle di 19 anni, possano avere la possibilità di andare a studiare in Europa. La loro università è stata distrutta e semmai verrà ricostruita per loro sarà troppo tardi.

Qui è stato ucciso tutto. Soprattutto il futuro.

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