Trump, la procura della Georgia accelera i tempi: il Grand Jury approva 10 capi di imputazione

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NEW YORK – La procura della Georgia spinge sull’acceleratore. E dopo aver impiegato 30 mesi a chiudere le indagini, ottiene a tarda sera, e con almeno 24 ore di anticipo sui tempi previsti, l’ok del Grand Jury – l’organismo legale chiamato a decidere se le prove raccolte sono sufficienti per procedere con una nuova incriminazione – a 10 capi d’imputazione: tutti quelli presentati nell’ambito dell’inchiesta sulle pressioni esercitate da Donald Trump per ribaltare il risultato delle elezioni 2020.

Le nuove accuse saranno quasi certamente rese pubbliche prima della mezzanotte locale (l’alba italiana) nel corso di una conferenza stampa dove l’agguerrita procuratrice democratica Fani Willis dettaglierà i punti.

Per ora, infatti, non è chiaro se si tratti di 10 capi d’imputazione tutti a carico dell’ex presidente, se ogni incriminazione contenga più di un nome o se addirittura riguardino 10 persone diverse.

Il documento con la decisione dei 23 giurati popolari – che hanno ascoltato fino a tardi le ultime testimonianze presentate dall’accusa, anticipando a lunedì pomeriggio pure le audizioni di coloro che erano attesi martedì mattina – è stata infatti consegnata poco prima delle 21.30 locali al giudice Robert McBurney che ha il compito di registrarle e fissare la data dell’udienza d’incriminazione.

L’accelerazione ha colto di sorpresa The Donald e il suo team legale: l’ufficio del procuratore distrettuale non è tenuto a dare preavviso agli imputati prima che un atto d’accusa venga reso pubblico, e pare proprio che non si sia preoccupato di informare gli avvocati difensori di Trump. Il tycoon, d’altronde era stato nervoso tutta la giornata, indonando il suo social, Truth, di post contro la procuratrice («Fake Willis»), contro l’amministrazione Biden (“chi ha manomesso le elezioni è lo stesso che l’ha truccata”) e pure contro i testimoni. Minacciando addirittura Geoff Duncan, l’ex vice governatore repubblicano della Georgia, un suo sostenitore fino alle presidenziali 2020, poi diventato acerrimo nemico dopo le insinuazioni di brogli: “Farebbe meglio a non deporre”.

E non è da escludere che proprio tanta agitazione abbia convinto la procura a stringere sui tempi, in una città già blindata in vista dell’annuncio atteso comunque in settimana, e nel timore di ulteriori intimidazioni dei testimoni.

Per l’ex inquilino della Casa Bianca in cerca di nuovo mandato, la quarta incriminazione rischia di essere la grana più grossa: secondo indiscrezioni emerse dalla lettura di un documento apparso ieri online sul sito del tribunale della Contea di Fulton responsabile del caso ma poi subito rimosso, il teorema dell’accusa sostiene infatti la violazione, da parte di Trump e accoliti, di un’ampia legge anti-racket locale nota come “Rico”. Uno strumento legale solitamente riservato a perseguire mafia e criminalità organizzata – lo scopo è punire i mandati oltre agli esecutori – che offre ai pubblici ministeri la possibilità di raggruppare i reati, pur se compiuti da persone diverse, se commessi allo scopo di raggiungere un obiettivo comune.

Apparato legalmente complesso: che rende particolarmente ostico alla difesa attuare strategie processuali coerenti, costretti a prendere in considerazione più imputazioni e persone. Non basta: il Rico permette di applicare rigide sanzioni economiche e disciplinari agli indagati: un sistema usato per mettere i coimputati gli uni contro gli altri, spingendoli a cercare accordi personali in cambio di informazioni capaci di sostenere nuove accuse. Diversamente dalle incriminazioni passate, Trump potrebbe dunque doversi presentare in tribunale con alcuni dei suoi “partner in crime”: l’ex sindaco di New York ed ex avvocato personale Rudy Giuliani, in testa. Oltre ad aver violato le leggi anti-racket, il tycoon dovrà rispondere pure di cospirazione, falso e aver tentato di spingere un funzionario pubblico a violare il suo giuramento di fedeltà. Accusa, quest’ultima, basata sulla ormai nota telefonata (di cui sono emerse le registrazioni) fatta da Trump al locale segretario di Stato repubblicano Brad Raffensperger: per chiedergli di “trovare” i 12mila voti mancanti e rovesciare con quelli il risultato elettorale.

Addebiti particolarmente insidiosi, perché rientrano nell’ambito dei reati statali e non federali. Nel caso di condanna, se pur rieletto presidente non potrà “auto-graziarsi”, né potranno farlo altri eventuali vincitori.

Già. Il leader repubblicano, ormai mal visto dall’establishment del partito, ma caro alla base tanto da essere in cima ai sondaggi col 54 per cento del gradimento, fino a ieri ha fatto lo spavaldo: “Un’altra incriminazione e vinco”. Ma il nervosismo dei suoi è già evidente dalla prima reazione, un attacco diretto alla procuratrice Willis da parte dell’account ufficiale della campagna elettorale: “La procuratrice è una fanatica di parte che ha strategicamente rallentato la sua indagine per massimizzare le interferenze con la campagna elettorale e danneggiare Trump”. La nuova battaglia legale è appena cominciata.

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