Rafah è un inferno di bombe. Ormai non sappiamo più dove fuggire

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RAFAH – Nella notte è stato colpito il centro di Rafah a poche centinaia di metri lontano da noi. Da tempo non avevamo una tale intensità di bombardamenti come quella delle ultime ore. Noi stiamo bene, la mia famiglia sta bene. Ma ci sono state molte vittime. È stato estremamente rumoroso. Tutto tremava. I bambini si sono svegliati e hanno iniziato a urlare. Alcune finestre si sono rotte e avevamo paura che le schegge avessero ferito qualcuno. È stato terribile.

Non abbiamo mai informazioni riguardo a quale sia l’obiettivo dei bombardamenti. In questo caso sono stati colpiti condomini dove vivono famiglie. Questa mattina sono andato all’ospedale Kuwait e posso testimoniare che tutte le vittime erano bambini, donne, uomini civili. L’ospedale ha dovuto mandare pazienti ad altre strutture perché non poteva contenere la mole di feriti. Sappiamo che molte persone sono rimaste sotto le macerie e sono state dichiarate “disperse”. A Rafah manca l’equipaggiamento per rimuovere grandi masse di macerie. Questo significa che le persone che sono rimaste intrappolate saranno semplicemente dichiarate “disperse”. Più di 10mila persona sono state dichiarate tali nella Striscia, dall’inizio dell’offensiva.

Non sappiamo se qualcuno si nascondeva lì o se gli attacchi erano deliberati. Succede continuamente che siano deliberati. A volte colpiscono anche semplicemente giornalisti. Altre volte vengono colpiti edifici perché dentro ci abita qualcuno che precedentemente lavorava per l’amministrazione pubblica. In questo caso si è trattato di un’area di cui tutti sappiamo che è estremamente affollata. Ieri la Unrwa ha dichiarato che più della metà della popolazione totale di Gaza si trova a Rafah.

È un macabro ping pong e una roulette russa allo stesso tempo. La prima volta che abbiamo lasciato la nostra casa a Nord della striscia – dall’inizio della guerra a oggi ci siamo dovuti spostare otto volte – il nostro quartiere era stato bombardato senza alcun preavviso. Nell’ultima tappa prima di Rafah, a Khan Yunis, ci avevano invece informato: “Colpiremo questi quattro isolati” e quindi ce n’eravamo andati di nuovo, verso la nostra ultima tappa, qui a Rafah. Da quando siamo qui ci aspettiamo in qualsiasi momento che ci avvisino di bombardamenti ma finora hanno colpito senza alcun preavviso.

La zona dove siamo ora, come dicevamo, è a poca distanza dal confine egiziano. Il quartiere è già stato colpito varie volte perché si dice che, proprio per la prossimità al confine, sia una zona che offre ossigeno ad Hamas. Ci aspettiamo che da un momento all’altro ci avvisino che una operazione di terra inizi proprio da qui. Per questo passo la mia giornata a cercare una sistemazione per la mia famiglia. Ma è praticamente impossibile. Una conoscente ha pagato 12mila dollari per affittare una casa per un mese nella parte occidentale della città. Noi non ce lo possiamo permettere. Per ora resistiamo qui ma è una roulette. Nel frattempo il capannone in cui siamo accampati è passato ad ospitare anche un’altra grande famiglia giunta da Nord. Siamo in 53.

Questa mattina sono stato nella parte occidentale della città. Dove ci sono molte tende. Se ci sarà un annuncio dell’Idf di evacuare la nostra area vicino al confine allora sarò costretto a trasferire la mia famiglia in una tenda.

A casa – nel capannone – facciamo di tutto per mantenere una normale vita quotidiana. Mentre scrivo, abbiamo appena finito di mangiare l’unico pasto che consumiamo durante la giornata, il pranzo. Minimizziamo le porzioni per poter sopravvivere fino al giorno successivo. Cerchiamo di pensare al futuro: il futuro delle mie ragazze, il futuro della famiglia. Come dicevamo qui siamo in 53. Alla mattina ci dividiamo i compiti. Alcuni vanno a cercare cibo in scatola nei mercati locali. Altri vanno a cercare legna, io facevo parte di questi oggi ma non sono riuscito a trovarne.

Sto facendo del mio meglio per organizzare i documenti perché le mie figlie possano uscire da qui e frequentare l’Università in Europa. Anche oggi ho fatto chiamate. Andavano all’università a Gaza ma è stata distrutta. Alla sera parlo di questi progetti. Dicendo loro che nel futuro avranno una vita normale e si dimenticheranno della guerra. Dico di studiare inglese. I progetti gli permettono di sorridere. La sera giochiamo a carte e cerchiamo di fare scherzi e battute. Perché di giorno è più tranquillo ma la notte fa paura. Per questo di sera parliamo a lungo. Cerchiamo di restare uniti.

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