Olena è una donna sulla quarantina che è stata maltrattata dal compagno. La sua colpa originaria: scegliere di tenere il bambino che portava in grembo.
Il nome della signora è inventato, ma la storia reale. E racconta della tendenza degli uomini a prendere le decisioni al posto delle loro partner, anche quando queste scelte riguardano i loro corpi.
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Olena conosce il suo aguzzino nel 2010, iniziano a frequentarsi e poco dopo vanno a vivere nella stessa casa. Due anni dopo lei rimane incinta ed entusiasta rivela l’esito positivo del test al compagno. La reazione è inaspettata.
«Io questo figlio non lo voglio, prendi un appuntamento in ospedale e abortisci», dice lui. «Ma io voglio tenerlo», ribatte lei. «Tu fai quello che ti dico io, sporca zingara», la fredda, accusandola delle sue origini romene.Olena è senza via d’uscita, contro la propria volontà va in ospedale ed ottiene un appuntamento per interrompere la gravidanza.
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È il giorno prima dell’intervento quando quell’uomo viene arrestato per rapina, per la donna quel fermo si trasforma nell’opportunità di scegliere sul futuro suo e del suo bambino.
L’indomani non si presenta in clinica e porta avanti la gravidanza.
In pochi giorni, però, la carcerazione si trasforma in arresti domiciliari e il suo compagno torna a casa. Non è più possibile procedere con l’aborto, non ci sono i tempi clinici, ma la scelta di far nascere il bimbo Olena la sconterà.
È da questo momento che gli insulti, all’ordine del giorno già da mesi, si trasformano in schiaffi, pugni, strattonate, tirate di capelli.
A distanza di 8 anni si ripropone una situazione quasi identica: «Sono rimasta incinta ma mi sono resa conto quando ormai era tardi per abortire. Lui non voleva un altro figlio ma ha dovuto accettarlo — ha detto la donna ai giudici, trattenendo a stento le lacrime — ormai eravamo a un punto in cui mi cercava solo per avere rapporti, per il resto del tempo mi aggrediva». L’uomo ora è sotto processo per maltrattamenti.
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