Tivoli, il rogo all’ospedale: “Così abbiamo salvato a mani nude i nostri pazienti fragili”

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Tivoli — «Abbiamo sentito un odore acre di bruciato. Non sapevamo da dove venisse. Abbiamo aperto la porta della Rianimazione e ci siamo trovati dentro una nube di fumo denso, impenetrabile. Ci siamo barricati dentro, abbiamo sigillato le porte con lenzuola bagnate, asciugamani, cerotti, con tutto quello che trovavamo, per impedire ad altro fumo di entrare e salvare i nostri pazienti». È una testimonianza drammatica quella di Maria Grazia Angelucci, anestesista, di turno di notte nelle ore del rogo.

Dottoressa, come avete fatto a mettere in salvo i vostri pazienti, certamente molto gravi?

«Sono stati momenti atroci. I sei pazienti della rianimazione erano tutti intubati, tranne una donna giovane che abbiamo cercato di rassicurare. Ma non sapevamo nulla di ciò che stava accadendo, era buio pesto, i telefoni non funzionavano, con i cellulari abbiamo chiesto che ci venissero a salvare».

La barriera di lenzuola e cerotti ha funzionato?

«Grazie a Dio sì. Con le nostre mani abbiamo fermato la tempesta di fumo. I nostri pazienti già delicatissimi non sarebbero sopravvissuti».

Quando ha aperto la porta dopo l’arrivo dei soccorsi, quale scena si è trovata di fronte?

«Come fosse la notte più nera. Non si vedeva nulla. Per terra il fumo aveva creato una coltre qualsi liquida. Ho avuto subito un laringospasmo, gli occhi che bruciavano, dolore al petto. Tanto che siamo tutti tornati indietro, cercando un’altra via di fuga. I miei infermieri sono stati straordinari, salvare pazienti attaccati a macchinari salvavita è qualcosa di eroico».

Quanto avete atteso i soccorsi?

«Il tempo esatto non lo so, però mi è sembrato un’infinità. Eravamo murati dentro: la rianimazione si affaccia su una terrazza, speravamo fosse una via di fuga, ma anche lì c’erano fuoco e nube tossica. Potevamo soltanto aspettare».

Cosa ha fatto dopo aver trasferito tutti i pazienti?

«È stata l’alba più terribile della mia vita. Sono andata a casa, ho fatto una doccia per togliermi il nero che avevo sui capelli, sulle mani, poi sono tornata qui. In questo ospedale c’è un pezzo della mia esistenza, vederlo bruciare è un dolore che non dimenticherò».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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