Anna Ferzetti: “Sul set sono un diesel ma nella vita di coppia ci vuole la passione”

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“Mi fa strano avere una figlia di 18 anni, alta quanto me. E’ che io mi sento ancora giovane. L’anno scorso ho compiuto 40 anni, pensavo chissà cosa e invece mai stata così solare, positiva”. Capelli biondi legati in una piccola coda, jeans e golfone, spiritosa, moderna, Anna Ferzetti a vent’anni era già stata giornalaia, cameriera in un bar, guida per turisti tedeschi a Roma, maestra di canoa, aiuto farmacista. Poi, fatta le ossa, per gli altri venti ha percorso tutto il duro e indispensabile lavoro per costruirsi il mestiere di attrice, dalle prime piccole parti in Un giorno perfetto di Ozpetek, La tigre e la neve di Benigni, e prima ancora in tv e in teatro, fino a oggi con I peggiori giorni di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, la black comedy Best friends forever, la serie Call my agent, il thriller di Sky Un’estate fa per citare i titoli recenti, e Il delitto di Avetrana, la serie tv di Pippo Mezzapesa, dov’è la giornalista a caccia di scoop, di cui si attende l’uscita. “Mi piacciono le storie che mi mettono in difficoltà, che non mi fanno restare nella mia comfort zone”, dice Anna, il cui primo talento è di non essersi impigrita nel ruolo di “figlia di” e “moglie di”. E nel suo caso parliamo di due “grandi”, perché il padre era Gabriele Ferzetti, mezzo secolo di storia del teatro e del cinema con Petri, Leone, Cavani, coprotagonista di un leggendario 007, e il compagno (finora non si sono sposati) è Pierfrancesco Favino e basta il nome. “Figlia d’arte e compagna di un attore: la verità è che ne sono orgogliosa – dice sicura – Sono due persone meravigliose. E quanto al mestiere, se fai il medico come tuo padre o tuo marito, mica operano loro al tuo posto. A decidere se sei bravo è quello che sai fare. Io, poi, nel lavoro sono un diesel”.

Pierfrancesco Favino sul red carpet con la moglie Anna Ferzetti e la figlia Lea

Che intende?

“Ci sono attori che hanno carriere veloci, io no. Un po’ è che sono partita tardi, ho fatto un sacco di stage. Mi spiace di non aver avuto una solida formazione. Però sono una curiosa e nelle scelte lavorative, a me piace conoscere nuove persone, nuove situazioni, anche se l’importanza di un ruolo è relativa. Nelle scorse settimane, per esempio, ero a Milano per una partecipazione, nulla più, nel film Facciamo tutti centro di Paola Randi, perché è una regista che stimo molto. Sono felice, poi, di riprendere a febbraio, dopo le repliche dello scorso anno, Perfetti sconosciuti a teatro, dal film di Paolo Genovese che ha diretto anche lo spettacolo e dove ho condiviso il ruolo con Lorenza Indovina per una parte della tournée. La storia è sempre quella: segreti e bugie custoditi nel cellulare ma coinvolge da matti il pubblico che quasi sta al gioco con noi attori”.

Anna Ferzetti: “Favino e io, tra set e famiglia, la nostra vita è uno spettacolo”

Mai avuta la tentazione di fare una cosa simile col cellulare di Favino?

“No, anche se abbiamo ognuno le password dell’altro. Però posso dire che la scorsa stagione quando recitavo lo spettacolo mi portavo a casa un umore… non sospettoso, diciamo un fastidio tanto che ridevamo e ci dicevamo: non iniziamo con dinamiche strane… Ma succede che, sia pur nella finzione, certi sentimenti li vivi davvero”.

Abbiamo letto che Favino sta lavorando in Ungheria per il film sulla Callas con Angelina Jolie. Preoccupata?

“Nella vita può capitare di tutto, ma se penso a noi due dico che siamo una coppia centrata, solida. Io mi sono innamorata di Pierfrancesco perchè è bello, è piacevole, mi fa ridere, è generoso, è un uomo di altri tempi. E anche perché è uno degli attori più bravi che abbiamo in Italia. Sarò di parte, ma è proprio un fuoriclasse, a casa vedo quale grandissima preparazione c’è dietro le sue interpretazioni. Lo ammiro perché non dà niente per scontato. Quest’anno sono vent’anni insieme”.

Chimica? Fortuna? Volontà?
“Chimica sì, fortuna sì, ma ci vuole tutto il resto. Anche noi abbiamo avuto i momenti di crisi, quando sono nate le nostre figlie ci siamo dovuti riorganizzare. E anche oggi si fanno sacrifici, col lavoro che facciamo vanno gestiti partenze e arrivi. Ma tutto questo io lo definisco un bellissimo lavoro: avere un progetto comune e tenerlo vivo. Anche nella passione. Noi due cerchiamo di prenderci dei giorni per stare insieme da soli, senza le figlie. Loro lo sanno, capiscono che mamma e papà devono essere felici, senza nulla togliere a loro. Quando ero a Milano, lui aveva qualche giorno libero dal set in Ungheria e mi ha fatto la sorpresa: ci siamo fatti due giorni da coppia felice”.

E nella dura routine domestica?

“Io sono sempre stata una bravissima organizzatrice, facciamo in modo che le nostre figlie, Greta che adesso è in Canada per un anno di scuola, e Lea, la più piccola, stiano sempre con qualcuno dei due. In casa con Pierfrancesco siamo al 50 e 50”.

Si è dovuta imporre per questo?

“Ho la fortuna che lui ha un senso forte della famiglia. Viene da una bella famiglia tradizionale e numerosa, con cui facciamo le feste comandate. L’opposto della mia. Noi mangiavamo a orari diversi, perché mio padre, recitando la sera, si svegliava tardi e mangiava alle 2. Eppure anche noi avevano comunque un senso di famiglia. Forse per me più desiderata. Io ho questa immagine di mio padre che partiva con il baule e il cuscino. Da bambina volevo il papà normale, quello che tornava la sera e che mi metteva a letto, cosa che poi mi è capitata con mia figlia. Un giorno mi ha detto ‘Ma tu non potevi avere un negozio dove mettevi il cartello ‘torno subito’’. Mi sforzo di non farle sentire quello che ho vissuto io”.

Suo padre e Favino si erano conosciuti?

“Sì e si piacevano tanto. Ho regalato a Pierfrancesco uno dei due grandi bauli da viaggio che sono il ricordo più bello di mio padre, quelli alti di una volta, con i cassetti, che lui si portava nei vari alberghi per la lunghe tournée teatrali”.

Le manca suo padre?

“Moltissimo. Era un uomo del ‘25, ma era una mente aperta: a me ha fatto fare un tatuaggio a 13 anni. Era un solitario, mai stato un mondano, ricordo ogni tanto qualche cena con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi quando recitava con loro. Io ho vissuto con la paura di perderlo ogni giorno. Lui mi ha avuto a 57 anni, sentivo che era un uomo anziano, anche se mia madre oggi dice che lui giocava molto con me”.

Ha fatto l’attrice per lui?

“In teoria sì. È l’aria che ho sempre respirato. E mi dispiace che se ne sia andato in un periodo mio, di donna e di lavoro, ancora un po’ così. Mi sarebbe piaciuto fargli vedere un po’ di cose che ho fatto dopo. Io gli somiglio molto. Ma mi faccio un complimento da sola: non sono una che abbatte facilmente, anche nei momenti in cui mi prende un nodo… Io risulto sempre quella che ti risolve i problemi. Non mi è permesso di cedere”.

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Una dannazione?

“Sì, e mi rende da una parte fiera, dall’altra no perché vorrei sentirmi protetta. Pierfrancesco per fortuna lo sa, ma sul lavoro è più difficile. Mio padre diceva questo è un mestiere dove non ci si può mai sedere. E anche io penso che basta coi lamenti, se uno ha idee, le faccia”.

Che le frulla in testa?

“Sto scrivendo un paio di progetti per il cinema, vediamo cosa verrà fuori: sono storie di donne, perchè sento la necessità di raccontarci. L’80 per cento delle storie nel nostro cinema ha al centro uomini. Ma guarda Paola Cortellesi: ha fatto un film bellissimo, ha portato al cinema gente che non ci andava più. Ha avuto una idea, ha agito. Il suo meritatissimo successo dà fiducia a tutte. Il mio sogno è coinvolgere un bel gruppo di attrici di talento e ce ne sono tante, a cominciare dalla mia amica Vanessa Scalera e far vedere che quando le donne si mettono assieme, sono una forza della natura”.

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