Premierato, primo accordo a destra sulle modifiche: il capo del governo potrà essere sostituito solo in casi eccezionali

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Lo vince Fratelli d’Italia il braccio di ferro con la Lega sull’elezione diretta del presidente del Consiglio. In fondo all’ennesimo vertice di maggioranza non privo di tensioni, i salviniani hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco e dare via libera alle correzioni imposte dai meloniani. Essenzialmente tre gli interventi sul ddl costituzionale varato in Cdm: ridimensionamento del secondo premier; limite dei due mandati; stop al premio di maggioranza fissato al 55%, che resta soltanto come principio generale.

Ora toccherà ai leader della coalizione — Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani — pronunciare l’ultima parola, ma l’intenzione dell’inquilina di Palazzo Chigi è fare in fretta. Accelerare per approvare “la madre di tutte le riforme” in Senato prima delle Europee. La bandierina da poter sventolare in campagna elettorale, dopo aver dato via libera all’Autonomia differenziata che è invece il cavallo di battaglia del Carroccio. Ma il centrosinistra è pronto alle barricate. «Si indebolisce il ruolo del presidente della Repubblica oltre che il Parlamento, dal Pd avranno un’opposizione ferma e dura», promette la segretaria Elly Schlein.

Ci sono voluti tre incontri ai massimi livelli e più di una rissa sfiorata per trovare la quadra. A far litigare i due principali partner di governo è stata, in particolare, la cosiddetta norma anti-ribaltone, che in origine prevedeva il subentro quasi automatico del “premier di scorta” in caso di dimissioni o sfiducia del premier eletto. Ebbene, dopo i ritocchi voluti da FdI, il turnover caldeggiato dalla Lega diventa molto più difficile. Vediamo perché. Col nuovo testo, l’elezione diretta del presidente del Consiglio avviene con un sistema elettorale che garantisce alla coalizione vincente un premio di maggioranza su base nazionale. Viene aggiunto il potere di revoca, oltre che di nomina, dei ministri, che spetta al Capo dello Stato su proposta del premier (anche questa una richiesta dei meloniani trangugiata a fatica dagli alleati). L’avvicendamento con il secondo premier può avvenire solo in casi eccezionali: impedimento permanente, morte, decadenza o dimissioni volontarie del premier eletto. In tale ipotesi, il capo dello Stato potrà conferire l’incarico di formare il governo o allo stesso presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza. Se questi non riesce a ottenere la fiducia, il Quirinale procede allo scioglimento delle Camere. Mentre in caso di sfiducia di una delle due Camere, il premier rassegna le dimissioni «entro sette giorni» con atto motivato, o propone lo scioglimento del Parlamento al presidente della Repubblica. Entra nel testo anche il limite ai mandati per chi siede a Palazzo Chigi: non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi.

Con lo stop ai governi tecnici e come conseguenza della norma anti-ribaltone viene limata anche l’articolo della Carta sul semestre bianco. Durante gli ultimi sei mesi del suo mandato, il presidente della Repubblica non può esercitare la facoltà di sciogliere le Camere «salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto».

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