Vecchio un ospedale su 4 e dieci miliardi per i lavori sono fermi nei cassetti

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Gli ospedali italiani sono vecchi, come in generale sono vecchie tutte le strutture sanitarie. Basterebbe un solo numero a far capire qual è la situazione: 18%. Indica i luoghi di cura che hanno meno di 33 anni, cioè che sono stati costruiti dopo il 1990 e quindi vengono considerati moderni. Una piccola minoranza. Sono ben più numerosi quelli tirati su prima della fine della Seconda guerra mondiale, cioè fino al 1945. Sul totale nazionale sono il 27%, con punte ben più alte in Liguria, dove addirittura rappresentano il 59%, nelle Marche (47%) e in Toscana (42%).

Ma la data di prima costruzione non dice tutto. Ci sono ospedali anche antichi, addirittura di fondazione medievale (come lo stesso ospedale di Tivoli) che sono stati recuperati nel corso degli anni e resi moderni. Il punto chiave è proprio quello che riguarda gli investimenti per rinnovare le strutture e pure quelli per metterli a norma dal punto di vista delle regole antincendio. Anche in una sanità oggi in ristrettezze economiche, i soldi ci sarebbero ma le Regioni non ne utilizzano una buona parte.

Il maxi fondo non sfruttato

Esiste un fondo dedicato all’edilizia ospedaliera più volte rifinanziato a partire dalla fine degli anni Ottanta e detto “articolo 20”, che è stato istituito appunto con la legge numero 67 del 1988. Ebbene, secondo i calcoli del maggio scorso della Corte dei conti, che ha lavorato sui documenti dei ministeri della Salute e dell’Economia, sono stati stanziati 24 miliardi di euro per costruire ospedali e altri centri sanitari oppure per risistemare quelli esistenti, ma le Regioni ne hanno utilizzati solo 14, cioè il 58%.

C’è chi è stato bravo a sfruttare i finanziamenti e chi no (la Sardegna è al 37%, la Calabria al 38%, il Lazio al 43%). Il Cergas di Bocconi, nel suo rapporto Oasi è piuttosto chiaro: “All’infuori di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, negli ultimi vent’anni non si è riusciti, anche in presenza di finanziamenti, a investire in modo significativo sul rinnovamento delle reti di cura ospedaliere e ancora meno sul territorio”.

“Procedura farraginosa”

Non solo: “La realizzazione di nuovi presidi ospedalieri non è stata quasi mai accompagnata dalla razionalizzazione dell’offerta esistente”. E la Corte dei conti fa notare come negli ultimi anni i progetti presentati dalle Regioni per ottenere i finanziamenti siano stati molto pochi. Tra le ragioni dello scarso utilizzo dei fondi, secondo Giovanni Migliore, che dirige la Fiaso e cioè la Federazione di Asl e aziende ospedaliere, una è burocratica: “Il percorso per ottenere le risorse è farraginoso, spesso i soldi arrivano molti anni dopo la richiesta. E quando si fanno le gare di appalto è passato troppo tempo”. Anche la Corte dei Conti chiede semplificazione: “In ogni caso, è necessario rivedere le procedure per eliminare quanto più possibile i passaggi non indispensabili”.

Tante strutture non in regola con le norme antincendio

Tra i problemi per risistemare gli ospedali come quello di Tivoli, fa notare Migliore, talvolta c’è che sono strutture fondamentali per il territorio, in quanto unici punti di riferimento, e devono continuare ad offrire servizi di assistenza mentre vengono svolti i lavori. Cosa che non sempre è possibile e comunque fa crescere i costi dei cantieri.

Ma sempre il presidente Fiaso rivela un dato che fa riflettere sulla tragedia avvenuta nel Lazio. Riguarda la sicurezza proprio contro il fuoco. “Un terzo degli ospedali italiani non è adeguato alle norme antincendio, così come a quelle sulla sicurezza antisismica. Lo diciamo dopo aver analizzato un campione di aziende sanitarie e ospedaliere iscritte alla nostra Federazione. Si tratta di un problema che non riguarda solo i piccoli ospedali, ma anche strutture ospedaliere importanti”. La normativa a cui si riferisce è del 2015 e gli interventi di adeguamento andavano presentati entro il 2016.

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