Gratteri: “Da Nordio riforme dannose, renderanno i magistrati pavidi passacarte”

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Nicola Gratteri, procuratore di Napoli. Qual è la sua opinione della riforma della giustizia proposta dal ministro Nordio? Le “pagelle” ai magistrati servono?

«Nessuna delle norme da ultimo approvate possono essere utili a migliorare la giustizia. Le pagelle non solo non sono utili, ma addirittura sono dannose: i magistrati si preoccuperanno più di avere le carte in ordine che di fare giustizia. Queste riforme, che sono anche un altro regalo alle correnti della magistratura e seguono la stessa strada della riforma Cartabia, ci consegneranno un magistrato burocrate, pavido e passacarte che perderà di vista il fine primario: fare una giustizia giusta. C’è da pensare che sia questo l’obiettivo, perché sono ben altre le cose che servono per far funzionare il processo».

Dove si dovrebbe intervenire, secondo lei?

«Serve riempire gli organici della magistratura: abbiamo raggiunto una scopertura pari a circa 1700 magistrati. Serve accorpare i tribunali di piccole dimensioni, mentre si parla addirittura di istituirne altri. E poi, serve riportare a 75 anni, o almeno a 72, l’età pensionabile, limitare il numero dei magistrati fuori ruolo e dare a magistrati in pensione incarichi che, meglio e più di altri, potrebbero svolgere. Se un ministro può avere più di 75 anni, perché i magistrati in pensione non possono essere destinati alle commissioni parlamentari o alla scuola superiore della magistratura? Una persona di 75 o più anni può prendere decisioni sul futuro di una nazione e non può occuparsi dell’aggiornamento dei magistrati? È un discorso che non sta in piedi, evidentemente non lo si vuole fare, anche se sono scelte che già domani mattina si potrebbero adottare, non serve modificare nessuna norma».

C’è chi dice che cambierebbe poco.

«Non è vero. Anche 20 o 30 magistrati in più, in alcuni uffici, fanno la differenza. Sarebbe anche un segnale importante da parte della nostra categoria e smorzerebbe, pur solo in parte, una serie di critiche collegate alle correnti. Secondo un sondaggio, dopo il cosiddetto “scandalo Palamara”, larga parte degli italiani diffida della magistratura. Se vogliamo riacquistare credibilità, all’esterno ma anche all’interno, è il momento di fare qualcosa di concreto, non le solite chiacchiere che non portano a nulla. Credo che il Presidente della Repubblica, come presidente del Csm, dovrebbe chiederlo a viva voce.

Come valuta la riforma della custodia cautelare?

«Pensare che una misura cautelare debba essere emessa da tre giudici o che, prima di applicarla, l’indagato debba essere preventivamente interrogato, è qualcosa che solo chi non frequenta i tribunali può ritenere utile e solo chi non conosce l’attuale stato della magistratura può ritenere praticabile».

Come si velocizzano i processi?

«Eliminando inutili adempimenti che nulla hanno a che vedere con le irrinunciabili garanzie. Oggi, dopo un defatigante processo di primo grado, si può fare un concordato in appello, con riduzione della pena e rinuncia al prosieguo. Perché non farlo prima? Si potrebbe anche limitare la possibilità di appello nelle ipotesi di arresto in flagranza con ammissione degli addebiti o quando sono palesemente strumentali. Lasciamo fare le riforme a chi nei Tribunali lavora veramente».

La separazione delle carriere è una soluzione?

«È sbagliata da tutti i punti di vista. Il cambio di funzione arricchisce professionalmente il magistrato. Si criticano spesso i pm perché si dice che non hanno la cultura della giurisdizione. Quale miglior modo, allora, se non quello di far fare al pm anche il giudice e viceversa? Bisognerebbe avere il coraggio di tornare ad agevolare il cambio funzioni, come nel resto d’Europa, dove viene incentivato. La separazione delle carriere è l’anticamera della sottoposizione del pm all’esecutivo».

È d’accordo con l’allarme dei 26 presidenti di Corte di Appello sui rischi della modifica della prescrizione?

«Certo che sì».

Le intercettazioni non costano troppo?

«Ho speso fiumi di parole per dire che non sono costose. Ci si vuole nascondere dietro questo argomento allo scopo di limitarne il più possibile l’utilizzo per i reati contro la pubblica amministrazione, ormai sempre più a braccetto, almeno in alcune zone, con i reati di mafia. Se in un’inchiesta per mafia o traffico di stupefacenti sento parlare, in un’intercettazione, di una corruzione di milioni di euro o di un riciclaggio o di una truffa non la posso utilizzare, perché è un fatto diverso. Se emerge che un povero tossicodipendente ha rubato una bottiglia in un supermercato, anche se è un fatto diverso, sì».

E perché?

«Per il furto nei supermercati è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, per la corruzione no. È un’assurdità, una giustizia forte con i deboli e debole con i forti. Le intercettazioni sono fondamentali e dovrebbero comprendere anche i messaggi scambiati attraverso strumenti informatici e telematici, come io e il professor Nicaso spieghiamo nel libro “Il Grifone”».

Cosa non la convince della riforma Cartabia?

«Direi quasi tutto. Condivido solo l’informatizzazione del processo penale (anche se ancora non funziona, nemmeno a livello sperimentale), oltre alle attività istruttorie che possono svolgersi a distanza. Per il resto, purtroppo, l’auspicata riduzione dei tempi non si avrà. Sono stati introdotti adempimenti che appesantiscono le procedure, anche nel processo civile. La lotta alla criminalità organizzata passa anche da qui: se un cittadino non ottiene una risposta veloce per un risarcimento danni o per la risoluzione di un contratto, si arrende oppure si rivolge alla criminalità. Entrambe le cose non vanno bene».

Pensa sempre che sia necessario costruire nuove carceri?

«Lo dico da anni, ma non perché la mia aspirazione sia quella di riempire le carceri. Sarei ben contento di vivere in un paese dove nessuno commette crimini, ma se non è così, allora il sistema deve assicurare sia la certezza della pena, sia una carcerazione dignitosa. Le cose vanno di pari passo. Si era parlato di ristrutturare ex caserme, di utilizzare immobili confiscati. Ma non mi pare sia stato fatto nulla».

Lei come interverrebbe?

«Centinaia di detenuti hanno commesso reati a causa della tossicodipendenza. L’unica via è provare a disintossicarli, siglando più accordi con le comunità terapeutiche e sovvenzionando la costituzione di altre. Dovrebbero essere istituite più strutture per i soggetti con disturbi psichici. Le Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr), non sono sufficienti, né lo è il personale. Vanno create altre strutture con medici, psichiatri e psicologi. E vanno potenzianti i Tribunali di Sorveglianza: tanti, anzi troppi, detenuti in esecuzione pena avrebbero già ora diritto ad una pena alternativa. Invece sono in attesa della decisione perché hanno difensori di ufficio o perché non arriva la relazione dai servizi sociali. Così affrontato, il sovraffollamento diventerebbe un falso problema. Ma evidentemente dei veri ultimi a nessuno interessa nulla».

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