Levinson (Levada): “Due terzi dei russi favorevoli alla fine del conflitto, ma senza cedere territori all’Ucraina”

Pubblicità
Pubblicità

Le formulazioni erano diverse, ma la sostanza sempre la stessa. Secondo un sondaggio del Centro Levada, istituto di sondaggi indipendente, la domanda che oltre un quinto della popolazione avrebbe voluto porre al presidente Vladimir Putin durante la “linea diretta” era “Quando e come finirà il conflitto in Ucraina”. Sarebbe però sbagliato pensare che sia una prima crepa nel consenso, avverte Aleksej Levinson, a capo del dipartimento di ricerca socioculturale di Levada. «I russi difendono la gloria del Paese. Vogliono essere rispettati», dice a Repubblica da Mosca. «Il sostegno è stabile. Soltanto una nuova mobilitazione potrebbe minacciarlo».

Ma, secondo un altro vostro sondaggio, il 70% dei russi sarebbe favorevole alla fine del conflitto…
«Il problema è che il 60% pone delle condizioni: che la Russia mantenga i territori annessi. Soltanto un terzo dei russi sosterrebbe una pace che comporti la loro restituzione a Kiev. E chi vuole chiedere a Putin quando ci sarà la pace, pensa a una pace alle condizioni russe. L’altro aspetto importante è che le persone pronte a negoziare sono le stesse che sostengono l’esercito».

Il trentennio di Putin: in campo a marzo per il quinto mandato

Non è una contraddizione?
«Bisogna capire che per molti russi l’obiettivo del conflitto in Ucraina non è la conquista di territori, ma dimostrare la potenza della Russia al loro principale avversario. E l’avversario è l’America, non l’Ucraina. Finora, agli occhi dei russi, il corso del conflitto è abbastanza positivo perché gli aiuti della Nato a Kiev non hanno piegato il Paese. Le regioni ucraine annesse sono una sorta di trofeo. Il loro significato è puramente simbolico».

Dal febbraio 2022 il consenso intorno all’offensiva in Ucraina e al presidente Vladimir Putin è dunque rimasto stabile?
«La società si è consolidata attorno al leader già a febbraio e marzo del 2022. Da allora la situazione non è cambiata. La curva è rimasta orizzontale. Il tasso di approvazione del presidente è rimasto intorno all’80% e ha persino toccato l’85% lo scorso mese e quello dell’esercito intorno al 70%. Si tratta di un sostegno simbolico, è importante ribadirlo».

Putin si è ripreso la scena e adesso aspetta Trump per chiudere in Ucraina

Cosa intende per “simbolico”?
«I russi non vivono nella ricchezza. Per loro la posta in gioco è la gloria del Paese. Sostengono Putin e la sua offensiva contro Kiev perché sostengono lo status del Paese sulla scena internazionale. Vogliono essere trattati da pari. Vogliono rispetto. Quanti ettari di terra conquisteremo o quanti soldati morirranno non conta, perché i simboli non possono essere pesati su una bilancia. In gioco ci sono i simboli, perciò il sostegno dei russi è simbolico, ma non vuol dire che sia meno importante. Molte guerre sono state combattute per i simboli, le crociate per esempio».

Quindi la narrazione del Cremlino sul conflitto in Ucraina come una battaglia tra Russia e Occidente ha fatto presa nella popolazione?
«Sì. E ne abbiamo diverse conferme. Quando chiediamo “Chi è il responsabile del conflitto?”, la gente non incolpa l’Ucraina. L’offensiva è vista come un capitolo nell’eterna lotta tra Russia e Occidente. È un modo molto comodo di presentare in conflitto. Così non è più così importante come finirà, perché i russi non si aspettano che sconfiggeremo completamente l’America. L’importante è non arrendersi perché vuol dire che la nostra dignità è salva».

Quanto a lungo può reggere questo consenso simbolico?
«Al momento i nostri sondaggi dimostrano che i russi sono pronti a un conflitto di lunga durata. Il 40% prevede che durerà più di un anno. Perché il sostegno venga meno dovrebbe accadere qualcosa di molto, molto brutto».

Ad esempio? In quasi due anni Putin è sopravvissuto sia al malcontento seguito alla mobilitazione parziale sia alla tentata rivolta di Evgenij Prigozhin. Le proteste delle mogli dei mobilitati possono essere una minaccia? O una nuova mobilitazione?
«La mobilitazione è il fattore che potrebbe davvero cambiare lo scenario, ma non lo capiamo soltanto io e lei, lo capisce anche il governo. Perciò fa del suo meglio per trovare altri modi, indiretti, per portare uomini sul campo di battaglia. Le mogli sono molto attive, sì, ma sono una piccola minoranza. Non posso dire che in Russia ci sia un forte movimento che si oppone al conflitto. Almeno non ancora. E neppure forte come lo fu durante la guerra in Cecenia o in Afghanistan. Ma quelle guerre durarono dieci anni, questa neppure due. Non si possono fare confronti».

Quindi, in conclusione, il potere di Putin non è in pericolo?
«Non credo. Non sono un politologo, ma complice il conflitto a Gaza sta dimostrando di essere un attore molto importante sulla scena internazionale. All’inizio del conflitto Volodymyr Zelenski era l’eroe e Vladimir Putin sembrava messo nell’angolo. Ora la situazione sta cambiando. E forse cambierà in modo drammatico».

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *