Rugby: Maro Itoje, il gigante che legge Shakespeare e scrive poesie. Il campione inglese tra placcaggi e attivismo

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“Mi piace placcare duro. E scrivere poesie”. Maro Itoje è alto 1.96, pesa 116 chili. Gioca a rugby, legge Shakespeare. È uno dei leader dell’Inghilterra che domani pomeriggio affronta a Londra la povera Italia, destinata ad un’altra batosta nel torneo delle Sei Nazioni. Nel ruolo di seconda linea ha guidato l’assalto agli All Blacks nella semifinale mondiale di un anno e mezzo fa, con gli invincibili neozelandesi schiantati dalle spallate di questo gigante di origine yoruba. Un fuoriclasse in campo e fuori, che demolisce gli stereotipi sportivi e non: genitori ricchi, college privato, laurea in studi orientali ed africani, femminista e anti-Brexit, appassionato d’arte visiva, attivista del Black Lives Matter e di campagne a favore delle classi meno abbienti, modello per Ralph Lauren. Bicipiti e impegno politico, il piacere di azzuffarsi in partita – per l’azzurro Lazzaroni si prospetta una giornata di sofferenza – ma anche il desiderio di mettersi a disposizione degli altri, di aiutare i più deboli. “La diversità ci migliora”. Un campione destinato a stupire e vincere ancora tanto, perché è solo l’inizio. 

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È nato a Camden, nord di Londra, 26 anni fa, nome completo: Oghenemaro Miles Itoje. Per i compagni di squadra, “la Perla”. Per i tifosi, “Super Maro”. Genitori nigeriani, il padre Efe è un uomo d’affari, la mamma Florence gestisce un patrimonio immobiliare. Elementari e medie alla St George’s School di Harpenden, Hartfordshire, poi la Harrow School nel nord-ovest della capitale, dove in passato sono usciti Winston Churchill, Cecil Bacon e pure Benedict Cumberbatch. “Studenti e professori erano quasi tutti bianchi e di destra. Ma non è necessariamente una brutta cosa, essere di destra”. In camera da letto, i poster di Malcom X e Mohammed Alì. “Ho cominciato a giocare a rugby da bambino, papà aveva paura che mi distraesse”. Invece si è diplomato col massimo dei voi. “All’università poi erano quasi tutti di sinistra, così ho potuto farmi un’idea migliore”. Laureato in scienze politiche presso la School of Oriental and African studies di Londra. Intanto giocava coi Saracens, uno dei club più prestigiosi del mondo. Ha vinto 3 Champions, 4 campionati inglesi (la stagione passata eletto miglior giocatore), 2 volte il Sei Nazioni. È diventato un esempio. Per tutti.

“Il rischio è quello di cadere nei soliti pregiudizi: perché se un atleta è nero, allora viene sempre da qualche periferia, dal sud del mondo qualunque esso sia. E deve lottare contro la povertà, cominciando sempre da mondi senza educazione e cultura. Ma chi l’ha detto?”. Itoje alle spalle ha una famiglia ricca, ha studiato nelle scuole migliori. “All’inizio anche io, al college, mi sono sentito l’Altro: uno diverso da tutti, in un contesto che sembrava respingermi quando in realtà volevo solo integrarmi. Se vedevo o subivo qualche episodio di razzismo, scrollavo le spalle. Adesso no, sento il dovere di intervenire”. Dopo la morte di George Floyd, ha partecipato a diverse manifestazioni di protesta. “Mi sono ritrovato ad Hyde Park, e c’erano moltissimi bianchi. Ho pensato: le cose in futuro non potranno che migliorare. E io devo impegnami in questo processo”.

Col calciatore Marcus Rashford, del Manchester United, è coinvolto in un programma che prevede la distribuzione di migliaia di pasti gratuiti agli scolari poveri costretti in casa dal lockdown. Ha aderito alla campagna contro l’emarginazione digitale che in questo periodo ha colpito un milione e 800.000 studenti britannici. Si dice “fiero” delle sue origini yoruba (“Un’eredità che mi permette di attraversare il mondo”) e sostiene il Black Curriculum, un ciclo di studi sulla storia dei neri dedicato agli adolescenti. “Tutti devono sapere che durante il Medioevo europeo c’erano degli straordinari imperi culturali in Mali e Benin, e poi i commerci col mondo arabo, e la vita del re Mansa Musa, probabilmente l’uomo più ricco nella storia dell’uomo”. Non ha paura di scontentare qualche tifoso, con le sue prese di posizione. Cita Michael Jordan, che quando gli dissero di fare pubblicità ai democratici rispose: ‘Non posso, anche i repubblicani indossano le Nike’. “A me non importa: dico quel che penso, non devo necessariamente piacere a tutti”. 

Sabato scorso con la sua Inghilterra è uscito sorprendentemente sconfitta nella sfida con la Scozia. “I nostri avversari sono stati bravi. Hanno meritato”. Ora vuole ‘vendicarsi’ con l’Italia. Nella prossima tournée dei Lions potrebbe indossare la fascia di capitano: sarebbe la prima volta, in 132 anni della prestigiosa selezione britannica. E nel match coi campioni mondiali del Sudafrica incrocerebbe un altro capitano nero, Siya Kolisi. “Nero, bianco. Io la penso come il nostro allenatore, Eddie Jones: la diversità – pensiero, esperienza, origini – è ciò che fa forte una comunità. Che sia una squadra di rugby, o il mondo”. 

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