Il Brasile entra nell’Opec, pioggia di critiche per Lula. Il presidente si difende: “Serve prepararsi alla fine dell’industria fossile”

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Dal prossimo gennaio il Brasile di Lula entrerà a far parte dell’Opec. L’annuncio, filtrato nei primi giorni del Cop28 a Dubai, irrompe adesso ufficialmente anche in patria dove viene accolto come un vero shock. Il mondo ambientalista e l’ala ecologica della coalizione di governo, capeggiata dalla ministra dell’Ambiente Marina Silva, rumoreggiano con una pioggia di critiche neanche troppo velate. Ricordano ancora una volta gli impegni assunti dal presidente in campagna elettorale, ribaditi la notte della clamorosa vittoria davanti a milioni di seguaci che vedevano finalmente chiusa la terribile stagione di Bolsonaro con la distruzione dell’Amazzonia e il via libera a nuove trivellazioni.

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I passi in avanti in tema ambientale

Tutti riconoscono l’ottimo inizio del nuovo corso: il Brasile in sei mesi ha ridotto del 22 per cento la deforestazione. Un risultato che ha incoraggiato chi per quattro anni si sgolava denunciando la lenta agonia della foresta pluviale e le conseguenze che già si avvertono in tutto il mondo. Ma il Brasile è tante cose messe insieme: oltre ad avere la più grande distesa di verde del Pianeta, raccoglie le maggiori riserve di acqua dolce, protegge il più alto numero di tribù indigene incontaminate ed è anche il nono produttore di petrolio al mondo, con i suoi 3,7 milioni di barili estratti ogni giorno. Punta a diventare il primo della Regione.

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“Convinceremo i Paesi a prepararsi alla fine delle fonti fossili”

Il padre della sinistra brasiliana ha sempre sostenuto uno sviluppo sostenibile. Aderire all’Opec, tra l’altro come osservatore e non come membro effettivo con diritti e doveri, è una scelta che va in questa direzione. Pragmatico e abile negoziatore, qualità che rendono solido il suo Esecutivo, dove convivono interessi diversi e convergenti, ritiene che sia più intelligente far parte della grande famiglia del petrolio piuttosto che restarne escluso. “Penso che sia importante”, ha replicato davanti all’ondata di critiche, “partecipare all’Opec perché dobbiamo convincere i paesi produttori che devono prepararsi alla fine dell’industria fossile e dei combustibili. E questo significa usare gli introiti che guadagniamo dal petrolio per investirli nelle energie rinnovabili di cui hanno necessità continenti come l’America Latina, l’Africa, parte dell’Asia e lo stesso Medio Oriente”. Poi, per chiarire che non si tratta di un cambio di rotta ha paragonato l’Opec al G7 per spiegare il ruolo che avrà come rappresentante del Brasile: “Partecipo al G7+ da quando sono diventato presidente. Vado lì, ascolto, parlo solo dopo che è stata presa una decisione e me ne vado”. Insomma, ne farà parte ma non sarà vincolato ai limiti di produzione.

L’ok a nuove trivelle

Assieme all’ingresso nella famiglia mondiale dei petrolieri, dove il Brasile diventerà l’11° membro assieme a Russia e Messico, Lula ha confermato anche l’asta che il 13 gennaio 2023 vedrà mettere sul mercato i 503 blocchi offshore e onshore, compresi quelli in aree particolarmente sensibili. Fanno parte del piano d’investimenti annunciato una settimana fa dall’amministratore delegato della Petrobras Jean Paul Paredes: 102 miliardi di dollari da stanziare entro il 2028, il 31 per cento in più dei 78 indicati in precedenza nel piano quinquennale 2023-2027. “Solo perché siamo giunti alla conclusione che il mondo ha bisogno di energia pulita e sempre di più”, aveva obiettato Paredes, “non significa che dovremmo condannare il petrolio e smetterlo di pompare da un giorno all’altro. Senza i profitti del greggio non siamo in grado di investire in energie rinnovabili. Diventare ecologici è un processo di metamorfosi continua”.

Se molti osservatori ritengono che l’ingresso nell’Opec è “chiaramente un autogol”, la ministra Marina Silva si limita a ricordare ciò che aveva detto sabato a Dubai: “E’ imperativo eliminare il più presto possibile la dipendenza delle nostre economie dai combustibili fossili”. Lula concorda. Ma è contrario a misure drastiche. Al prevertice di Belem dell’agosto scorso si era affrettato a bloccare sul nascere la proposta del colombiano Gustavo Petro che gli chiedeva di impegnarsi a rinunciare del tutto al petrolio.

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