Chi è Danilo Calvani, l’ex leader dei Forconi in Jaguar che guida la rivolta degli agricoltori

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“Quando la pazienza finisce, quando la tua libertà viene calpestata, scendi in campo e comincia a lottare”. È uno solo degli slogan lanciati nelle ultime settimane da Danilo Calvani, volto e leader della protesta degli agricoltori in Italia.

“Sopra il campo la capra campa, sotto lo Stato la capra crepa”: gli slogan e simboli degli agricoltori in marcia su Roma

Dalle campagne di Pontinia, una delle città fondate dal regime fascista dopo la bonifica delle paludi pontine, alla ribalta nazionale. Di nuovo. Come fa da oltre dieci anni. Utilizzando sigle diverse, ma lanciando sempre gli stessi messaggi, in cui alle richieste di nuove politiche per il settore primario in difficoltà aggiunge abbondanti dosi di populismo, con qualche spruzzata di patriottismo e sovranismo. Ergendosi a capopopolo, uomo del destino, del “tutti a Roma”.

Con 12mila aziende, il 55-60% delle produzioni orticole destinate all’export, per un giro d’affari da oltre 300 milioni di euro all’anno, il 40% delle esportazioni regionali, l’agricoltura pontina dà una spinta fondamentale all’economia del Lazio. Una delle aziende è mandata avanti da Calvani, 61 anni, studi da ragioniere non ultimati per dedicarsi al lavoro nei campi, e da circa quindici anni animatore delle proteste degli agricoltori, con l’ambizione di diventare un leader nazionale e diversi scivoloni.

L’imprenditore iniziò a ritagliarsi uno spazio pubblico quando, sommerso dai debiti e con Equitalia che bussava alla sua porta, si avvicinò alle associazioni antimafia e iniziò a sostenere che tante aziende come la sua rischiavano di finire nelle mani dei clan, con uno Stato e i sindacati agricoli che voltavano le spalle al settore primario. Erano i tempi delle proteste con i trattori davanti al tribunale di Latina e dei cortei dei mezzi agricoli nei centri della provincia, di qualche foto e al massimo un’intervista sulla stampa locale. Dalla difesa dei campi dalla politica agli agricoltori in politica il passo però fu breve.

Nel 2011 Calvani infatti si candidò a sindaco proprio di Latina, cuore nero d’Italia, con la lista “Comitati agricoli riuniti”. Assicurava lo “stanamento dei parassiti da tutti i settori dell’amministrazione” e il “controllo dei flussi migratori con censimento della presenza degli stranieri”. I semi del populismo vennero gettati allora e da allora, seppure a fasi alterne, sono germogliati tra blocchi stradali e manifestazioni nazionali. Ma nel capoluogo pontino, roccaforte delle destre, l’imprenditore agricolo ottenne appena 320 voti e la sua lista non andò oltre lo 0,31%.

Un anno dopo il salto fuori dai confini provinciali, con Calvani tra i leader del movimento dei Forconi, composto da varie sigle accomunate da battaglie antisistema. Contro Equitalia, tasse, debito pubblico, euro, troika. Tanta protesta e poca proposta. Così come il Movimento 9 Dicembre, che dopo i blocchi stradali vide il leader Calvani arrivare a Genova, sventolando un tricolore, non alla guida di un trattore, ma trasportato in Jaguar. “Era di un amico, mi ha dato un passaggio”, si giustificò davanti alle tante polemiche.

Solo manifestazioni colorate e lo sfogo di chi manda avanti un’azienda tra mille difficoltà? Gli inquirenti hanno ipotizzato qualcosa di diverso, anche se le accuse non hanno poi retto in tribunale.

Nel 2017 il sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Daria Monsurrò, indagate 18 persone e temendo la costituzione di un’associazione per delinquere, finalizzata all’istigazione a delinquere e all’usurpazione di pubbliche funzioni, fece scattare un blitz e perquisire anche la casa di Calvani. “Evidente, visto quel che scrivono e quel che postano – dichiarò in conferenza stampa l’allora capo della Digos pontina, Walter Dian –l’istigazione a commettere una serie di delitti”. Un’indagine partita dal cosiddetto mandato di arresto popolare, con il Movimento che, ritenendo “abusivo” il Parlamento dopo la sentenza del 2014 sul Porcellum, sosteneva che parlamentari, i ministri e lo stesso Presidente della Repubblica dovevano essere arrestati anche dai cittadini. Tanto che a Roma provarono a farlo con l’onorevole Osvaldo Napoli. “Sono un pericolo per l’incolumità pubblica”, aggiunse il capo della Digos.

Poche ore dopo le perquisizioni, Calvani organizzò una conferenza stampa in un bar di Latina lido. Come è solito fare, fece il segno della croce e, invocata la benedizione divina, iniziò a parlare: “Già la Procura di Pescara, pochi giorni fa ha fatto un’operazione analoga. Se la sentenza della Consulta è legale il Parlamento è illegittimo e qualcuno deve dirci chi ha omesso di eseguire quella sentenza. Ci processino pure. Se abbiamo sbagliato è nella forma e non nella sostanza”. Si era già avvicinato al generale dell’Arma in congedo Antonio Pappalardo, anche lui negli ultimi anni protagonista di mille proteste, da quelle insieme agli agricoltori a quelle NoVax. E proprio l’ufficiale sostenne gli allora indagati. Calvani concluse: “Alemanno, Meloni e Storace hanno provato a impossessarsi del Movimento. I vertici dei 5 Stelle da anni mi fanno attacchi hacker”. Vicenda poi finita con una serie di proscioglimenti.

Ma non è stata quella l’unica grana giudiziaria per l’attuale leader del Comitato degli agricoltori traditi. Secondo gli inquirenti, per difendere le aziende delle persone a lui più vicine, travolte dai debiti, non avrebbe esitato a commettere reati. Venne mandato a giudizio, con le accuse di violenza e minacce, per aver impedito a un’imprenditrice romana che si era aggiudicata all’asta un’azienda agricola di Pontinia, sulla Migliara 52, di mettere piede nella proprietà. E poi, per delle manovre attorno a un’altra azienda, venne accusato di calunnia.

Disavventure che non hanno spinto Calvani ad abbassare i toni. Anzi sui social non ha fatto mancare neppure affermazioni razziste e omofobe, definendo Nichi Vendola “contronatura” per il suo orientamento sessuale, attaccando a testa bassa il deputato dem Emanuele Fiano per le sue battaglie antifasciste, e contestando pesantemente anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Chiare pure le idee sull’immigrazione: “Il padrone di casa detta le regole, l’ospite le deve rispettare”.

Nel 2019 furono gli stessi Forconi a cercare di metterlo all’angolo, ottenendo dal giudice del Tribunale di Latina, Alfonso Piccialli, una sentenza che ordinava all’imprenditore di astenersi dall’utilizzare il nome 9 Dicembre Forconi, impedendogli di utilizzare il simbolo anche sui gruppi Facebook. Danilo va avanti con quello del Comitato degli agricoltori traditi.

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