L’apocalisse del Vajont 60 anni dopo: il presidente Mattarella a Longarone. Un viale dedicato ai soccorritori

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Quattro minuti. Quattro minuti sono il tempo che ebbero gli abitanti di Longarone e della valle del Piave per tentare di mettersi in salvo, quella notte del 1963, prima che l’onda generata dalla frana del Toc nell’invaso del Vajont superasse la diga, radendo al suolo il paese.

La visita del presidente Sergio Mattarella

Sessant’anni dopo, l’immane tragedia – che verrà ricordata lunedì 9 ottobre con la visita del Presidente Sergio Mattarella che visiterà il cimitero monumentale e poi la diga – suona nella memoria collettiva come un monito contro l’incoscienza degli uomini. C’è un prima e un dopo Vajont nella storia del Paese. Sessant’anni non hanno guarito le ferite di queste popolazioni. Erto, Casso e Castelavazzo sono diventati paesi fantasma, con case e finestre sbarrate. Longarone è stata rifatta a forza di cemento armato. Delle costruzioni del 1963 sono rimasti in piedi il solitario campanile di Pirago, a nord dell’abitato, e il vecchio palazzo del Comune.

Vajont, l’ultimo tradimento

Il marchio del Vajont

I giovani, e i nuovi arrivati con lo sviluppo economico della valle, non sentono addosso il ‘marchio’ del Vajont. Ma per i sopravvissuti (ormai poche decine) il tempo si è fermato alle 22.39 del 3 ottobre 1963. In quei giorni, da quando la Sade aveva iniziato ad abbassare l’acqua dell’invaso – favorendo, si capì poi, lo scivolamento della montagna – la paura serpeggiava nei paesi.

C’erano continui movimenti di materiale dal Toc, la conformazione dei terreni cambiava a vista d’occhio, gli abeti nei boschi si piegavano verso valle. Poi, alle 22.39 del 9 ottobre, mentre nei bar di Longarone la gente assisteva in tv alla partita di Coppa Real-Glasgow, venne meno all’improvviso la corrente elettrica, e iniziò a tirare un vento forte, quasi bagnato.

Lo tsunami di roccia e fango

L’enorme frana di 260 milioni di metri cubi di roccia e fango si era staccata dal monte Toc e stava precipitando nel bacino sottostante, creando un’onda di 250 metri d’altezza che, in parte, sbattè e risalì sulla montagna opposta, ‘piallando’ la parte bassa di Erto e Casso, in parte si lanciò verso la diga, la scavalcò, e con la forza di 30 milioni di metri cubi d’acqua in viaggio a 80 chilometri orari piombò su Longarone.

Chi ha calcolato quella velocità, ha stimato che quello ‘tsunami’ abbia impiegato 4 minuti per raggiungere la valle del Piave. Una tabula rasa. “Scrivo da un paese che non esiste più”, iniziò il giorno dopo il suo reportage un giovane inviato della Stampa, Giampaolo Pansa, con un incipit memorabile.

I morti furono 1.910, 460 dei quali bambini sotto i 15 anni. A Longarone, che contò 450 vittime, 305 famiglie scomparvero completamente. Gli altri morti si contarono a Codissago e Castellavazzo (109), Erto e Casso 158, mentre 200 furono le vittime originarie di altri comuni.

La fine della vicenda giudiziaria

La fine della vicenda giudiziaria del Vajont arrivò molti anni dopo, nel 2000, quando lo Stato – e in quota parte Enel e Montedison – pagarono 77 miliardi di lire per i danni morali e materiali alle popolazioni colpite. Ma i superstiti dovettero subire anche l’offesa dei codicilli, come quello sulla ‘commorienza’ – i casi di morte contemporanea dei genitori e di uno dei figli – scovato da Giovanni Leone, presidente del Consiglio nel 1963, poi divenuto avvocato della Sade-Enel nel processo, che permise di non risarcire i parenti di circa 600 vittime.

Un viale dedicato ai soccorritori 

A chi si adoperò per estrarre le salme dal fango e prestò il proprio aiuto per far ripartire la vita interrotta dall’onda del 9 ottobre 1963, sarà intitolato un viale nella Giornata del Soccorritore e sarà uno dei momenti più importanti del 60/o anniversario del Vajont. Il programma prevede l’alzabandiera in Piazza Tasso e poi la messa nella chiesa parrocchiale. Alle 11 il corteo si snoderà fino alla zona della fiera, dove alle 11.30 si terrà la cerimonia di dedicazione del Viale Soccorritori del Vajont.

Si tratta della strada su cui si affaccia Longarone Fiere, a testimonianza del legame stretto e inscindibile tra l’opera solidale dei soccorritori del 1963 e la nuova Longarone nata dalla ricostruzione. Nel pomeriggio ci sarà la proiezione dello spettacolo teatrale Stelle nel Fango, tratto dal libro L’Abbraccio e la parola di Viviana Capraro. Infine, alle 17.30 nell’area della diga, il concerto della Fanfara degli ex congedati della Brigata Cadore.

“Il senso di riconoscenza e gratitudine”

“Nessuna parola può misurare il senso di riconoscenza e gratitudine che le comunità del Vajont esprimono nei confronti dei soccorritori, quelli che sono stati definiti “gli angeli”, esempi di generosità, altruismo e coraggio,” commenta il sindaco di Longarone, Roberto Padrin. Il Vajont è quella tragedia “che ha fatto emergere la parte peggiore, ma anche la migliore dell’uomo, rappresentata proprio dai soccorritori, a cui dedichiamo un viale”, conclude. “Anche da quell’esperienza è nato il sistema di Protezione Civile, uno dei più efficienti al mondo”.

L’orazione civile di Marco Paolini

Della storia di Longarone, Erto e Casso si è detto e scritto moltissimo. A rinsaldare il ricordo dei quasi 2.000 morti fu l’orazione civile di Marco Paolini, nel 1993. Il racconto teatrale messo in scena dalla Diga risvegliò in tutti, con la forza della tv, la consapevolezza di quanto l’incuranza delle regole, e le negligenze dello Stato e dei soggetti economici abbiano peso sulle ‘catastrofi naturali’. E il 9 ottobre sarà ancora la parola della cultura a ricordare la tragedia del Vajont. Marco Paolini ha riscritto il suo racconto, con la collaborazione di Marco Martinelli, e “VajontS 23” diventerà “un’azione corale di teatro civile”. verrà rappresentato in oltre 130 teatri, dall’Alto Adige alla Sicilia e all’estero, da grandi attori e allievi, nei teatri stabili e in quelli di ricerca, dallo Strehler di Milano ai piccoli teatri di provincia. VajontS 23 Marco Paolini l’ha ideato per la Fabbrica del Mondo: Rai Radio 2 aderisce con una puntata speciale del programma Caterpillar, in onda lunedì 9 ottobre alle 21 su Radio 2, in occasione del 60° anniversario del disastro del Vajont.

Marco Paolini: “Duemila voci per ricordare la tragedia del Vajont e riflettere sulle sorti del pianeta”

Da Copenaghen agli Emirati Arabi

Nello speciale, alle voci dei conduttori Massimo Cirri e Sara Zambotti dagli studi Rai di Milano, si aggiungono quelle di Teresa Mannino dagli studi Rai di Palermo, di Paolo Maggioni dal Piccolo di Milano e di Marco Paolini al teatro Brancaccio di Roma. Inoltre – solo per fare alcuni esemp i- interverranno scuole, parrocchie, case di riposo, gli studenti detenuti della sede carceraria di Turi, ma anche lettrici di condominio, amici in birreria, scuole, amiche del burraco, interi studi legali, squadre di basket, circoli fotografici, volontari in biblioteca, piazze di quartiere, moltissime famiglie che cercano uno strumento per informare i propri figli di quanto accadde 60 anni fa. Da Copenaghen agli Emirati Arabi passando per il Nord Carolina e Parigi.

Intervista al regista sulla tragedia della diga

Il regista Marco Paolini: “Il Vajont viene oscurato in tv. Anche dopo 60 anni fa paura al potere”

Le migliaia di adesioni

Rai Radio 2, infatti, con il programma Caterpillar e la campagna “M’illumino di meno” ha amplificato l’invito chiamando i propri ascoltatori alla partecipazione e la risposta è stata sorprendente con migliaia di adesioni. A tutte le persone che lo hanno richiesto Rai Radio2 ha inviato il testo e la lettera scritta da Paolini per le ascoltatrici e gli ascoltatori di Caterpillar: “Il racconto del Vajont trasformato in coro per essere letto a voce alta da cinque o più persone, non come un esercizio di memoria, ma come monito del tempo presente, monito a non subire il destino di vittime, a scegliere di non affrontare la crisi climatica in solitudine, a ribellarsi al negazionismo. Il racconto del Vajont sia uno stimolo a cambiare passo, ce lo chiedono le nuove generazioni.”

Un’operazione di “cucitura” narrativa di tante voci della società civile che si interrogano sulle fragilità del mondo nella crisi climatica: alle 22.39, l’ora in cui la montagna franò nella diga, andrà in onda in radio il suono della campana di Longarone.

Lo speciale di Focus

C’è poi lo speciale Vajont, 9 Ottobre 1963 – la Montagna, la Diga, gli Uomini che Focus (la rete tematica Mediaset dedicata alla divulgazione) propone lunedì 9 ottobre, in prima serata, indaga sulla tragedia esplorandone i fatti, le cause, l’impatto, gli errori, il dolore, lo scandalo, le ferite nel territorio e nei superstiti, la diga ieri e oggi.

Il programma di Focus, a cura del divulgatore scientifico Luigi Bignami, con la regia di Gianluca Gulluni e Manuele Mandolesi, cerca sul territorio le cause del disastro: e, per la prima volta, mostra in tv l’interno della diga e delle gallerie di servizio che servivano alla manutenzione e al controllo dell’invaso. I media, all’epoca, definiscono l’evento un ‘incidente’, una catastrofe naturale, crudele ma imprevedibile.

L’inascoltata giornalista Tina Merlin

Nel tempo, grazie al formidabile lavoro d’inchiesta della giornalista Tina Merlin, sull’Unità, emergono elementi di gravissima incuria, corruzione e frode, ai danni della popolazione locale, di fatto esposta irresponsabilmente a un rischio tutt’altro che imprevedibile e imprevisto.

Nello speciale, tracciato con foto dell’epoca, immagini d’archivio e riprese delle stesse zone oggi, propone le voci di alcuni testimoni diretti della tragedia; un ricordo dell’accaduto di Mauro Corona, gli interventi di ingegneri e geologi (Piero Gianolla, Università di Ferrara; Giovanni Crosta, Università Milano Bicocca; Emiliano Oddone, Dolomiti Project), e visite, fra i luoghi, al Cimitero Monumentale delle Vittime del Vajont, dove riposano 1.464 vittime (le salme mancanti non sono mai state rinvenute).

“Il 9 ottobre 1963, 2000 persone entravano nel nulla per ambizione e cinismo altrui e sete di denaro”, sottolinea Mauro Corona. “La cosa terribile è che si capiva le cose non andavano bene, alla fine si apriva un metro (di territorio) al giorno. Sarebbe stato sensato evacuare i paesi intorno, come Longarone, Castellavazzo, Codissago, Erto. La storia del Vajont è chiusa in questa formula. Perché non lo fecero?”.

I tanti punti oscuri

La storia “della catastrofe del Vajont iniziata circa 23 anni prima, termina con quattro minuti di apocalisse”, spiega Bignami. Al Politecnico di Milano, attraverso software e modelli di calcolo si è ricostruito quanto accaduto quella notte nel Vajont: “Il nostro obiettivo è cercare di capire cosa sia successo veramente anche perché ci sono ancora dei punti oscuri”, dice il professor Massimiliano Cremonesi del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, “ma ci interessa anche cercare di proporre una soluzione, un metodo e un approccio da utilizzare anche in situazioni analoghe con scopo predittivo, per evitare che tragedie come questa succedano nuovamente”.

Tra le mete di Bignami anche il Museo Longarone Vajont Attimi di storia, con un percorso storico tra la cittadina, la tragedia, il lutto, il dolore, i soccorsi, il processo, la ricostruzione, fino all’oggi: “Il museo non vuole essere legato solo ai fatti del 1963 ma vuole ricordare e far ricordare a tutti com’era questa cittadina prima degli eventi”, spiega la coordinatrice Sonia Bortoluzzi. “Siamo qui per fare rumore, per non cadere nell’oblio”.

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