Piano B, la storia di Francesca Corrado: “Insegnavo all’università. In due mesi ho perso tutto: lavoro, casa e fidanzato. Ma ho imparato dai miei errori e ora ho cambiato vita”

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Insegnava storia del pensiero economico all’università di Modena, aveva fondato una start up che si occupava di formazione e consulenza per aziende, viveva insieme al suo fidanzato da sette anni. Una vita perfetta, vista da fuori. “Poi – racconta Francesca Corrado, oggi quarantaduenne – è successo che nel giro di due mesi ho perso tutto. La mia start up è stata liquidata, il mio fidanzato mi ha mollata quindi non avevo più una casa, il mio contratto all’università non è più stato rinnovato. Mi vergognavo così tanto che per sei mesi non l’ho raccontato a nessuno, peregrinavo da un divano all’altro accampando scuse, finché non sono tornata a casa mia, in Calabria”.

Francesca Corrado

L’estate della sua rivoluzione è stata quella del 2015, nove anni fa. “A Crotone ho trovato mio padre malato di Alzheimer, che si era aggravato. Nell’assisterlo, mi sono resa conto che nella vita ci sono cose che si perdono per sempre, come la sua memoria, ma che altre si possono riconquistare. Con l’università italiana avevo chiuso: è un ambiente particolare, non sempre stimolante, in cui è difficile trovare fondi e spesso quelli che ci sono non vengono assegnati in maniera meritocratica. Non ne potevo più. Dovevo cambiare. Mi era stata offerta anche un’opportunità da un’università americana, ma ho rifiutato perché non me la sentivo di allontanarmi dall’Italia, con le condizioni di mio padre che peggioravano. Inoltre ci tenevo a ripartire da qui, volevo dimostrare a me stessa e agli altri che continuavo a valere, nonostante avessi perso tutto”. Per tentare di ristabilire un contatto con il padre, lei e la madre usavano i giochi da tavolo.

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“Il gioco era la mia grande passione sin da piccola – racconta – a dieci anni mia madre mi sgridava perché ero sempre chiusa in camera, incollata ai videogiochi. Sono ripartita da lì. Mi è venuta l’idea di sviluppare anche attraverso l’uso dei giochi il tema dell’errore e del fallimento”.

Quando è tornata a Modena, ha organizzato una festa per i suoi fallimenti. “E da lì ho iniziato a cambiare prospettiva: in fondo ci avevo provato, mi era solo andata male”.

Ha aperto la prima scuola di fallimento d’Italia a Modena nel 2017, a 37 anni. E da allora ha insegnato come sbagliare (bene) a 20mila persone, dai 5 agli 80 anni. I titoli dei corsi, che sul sito vengono presentati come “sartoriali, cuciti su misura per le esigenze del cliente”, vanno da “perché sbagliare fa bene” a “dimmi che errore fai e ti dirò chi sei”, passando per “l’importanza del corretto feedback in un contesto aziendale, per evitare il ripetersi sempre degli stessi errori”.

Il problema, spiega da professionista del fallimento, “è che in Italia negli ambienti di lavoro spesso manca quella che viene definita la sicurezza psicologica. Non hai libertà di esprimerti, hai paura di ammettere di aver fatto un errore perché temi di essere giudicato, e questo ha effetti molto negativi sulle performance. C’è uno studio, realizzato un paio di anni fa dall’Università di Bologna. secondo il quale gli studenti apprendono più velocemente la matematica se non si sentono giudicati quando commettono un errore”.

Spesso a richiedere dei corsi sulla capacità di sbagliare bene son le stesse aziende. “Mi chiamano perché sono interessate al tema, perché in un mondo sempre più incerto le competenze non vanno mai date per assodate, e quindi l’apprendimento, come l’errore, dev’essere continuo. Di recente, una multinazionale ci ha scritto perché, da alcuni test effettuati sulla sicurezza psicologica è emerso che la maggioranza dei propri dipendenti non si sentiva libera di sbagliare, anzi alcuni temevano anche di avere delle ritorsioni, anche in termini economici, a causa dei propri errori”.

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Del corpo docente della scuola, oltre a lei, fanno parte un ingegnere meccanico, un coach, uno scrittore, un avvocato, un improvvisatore teatrale e un economista. “Organizziamo corsi per aziende, gruppi di bambini plus dotati, maestre, ma anche per gli ‘startappari’, per i Neet (chi non lavora né studia, ndr). Di recente abbiamo fatto un evento a Roma rivolto a un gruppo di medici”.

Negli anni, ha collezionato clienti come Bper Mediolanum, Vodafone, Postepay, Microsoft. Dentro al piano di studi si va dalla neurobiologia dell’errore alla teoria dello sport, fino alla teoria della scienza, perché come diceva il filosofo Popper ci si evolve per prove ed errori. Esiste una cultura del fallimento diversa in Italia rispetto ad altri Paesi? “In generale – replica Corrado – nei Paesi a base cattolica c’è molto più senso di colpa, quindi il fallimento è socialmente meno accettato. Si prova più vergogna, si traduce ogni sbaglio come un’espressione di incompetenza. Ma c’è anche un aspetto economico: dare una seconda possibilità è più facile dove il Pil è elevato”.

E adesso, Francesca come sta? “Benissimo grazie. I miei errori mi hanno permesso di capire quali sono le mie potenzialità, quando tutto va bene alle volte è un po’ come essere trascinati dalla corrente. Magari ci sono dei segnali di insofferenza, ma ti dici: perché spezzare questo equilibrio? Si chiama cecità motivata, vogliamo essere ciechi per paura di scoprire qualcosa che ci potrebbe ferire. Fallire invece ti rimette al centro della scena per forza, coi tuoi limiti. Io prima non dicevo mai di no, adesso invece se qualcosa non mi va lo dico subito. Ho imparato a interrogarmi quando faccio un errore, a vedere cosa c’è dietro. Ho capito che la mania di perfezionismo non sempre è un punto di forza. Per fare tutto al meglio arriviamo spesso in ritardo, o quando l’occasione è ormai persa. Allora mi sono detta: fatto è meglio che perfetto. E ora questa frase la ripeto come un mantra, a me stessa e agli altri”.

Il 13 febbraio riproporrà il corso di San Fallimentino, quello sui fallimenti amorosi. Un gioco, e infatti ne sta progettando anche uno da tavolo, che si chiamerà “Il viaggio dell’errante”: “E’ un gioco di carte ambientato nel Medioevo, ai tempi di re Artù: l’obiettivo è conquistare il seggio periglioso, dove si potrà sedere soltanto il cavaliere che ha fatto dei buoni errori”. Prima regola: mai prendersi troppo sul serio.

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Elena: “Facevo la segretaria, ora per lavoro giro il mondo”

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Michele: “Sono andato a vivere in una baita-libreria”

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Gabriella: “Sono andata a vivere in un angolo incantato”

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Elio: “Ero direttore del marketing, ora lavoro con la ceramica”

Valentina: “Ho lasciato il lavoro da manager: ora faccio la maestra”

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Stefania: “Ho cambiato tutto dopo un grande dolore”

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