Flavio Insinna: “Ho lasciato ‘L’eredità’ senza rimpianti né rancori. Alla mia età ho imparato a voltare pagina. Ora in teatro come un artigiano con un omaggio a Nino Manfredi”

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Ha la voce allegra e lo ripete più volte: «Posso solo dire grazie e essere riconoscente alla Rai per tutti questi anni bellissimi». Nessun rimpianto. Chiusa l’esperienza televisiva con L’eredità, Flavio Insinna torna a teatro: debutta il 29 dicembre a Brindisi con Gente di facili costumi, con la regia di Luca Manfredi, che porta in scena la commedia scritta dal padre Nino con Nino Marino, interpretata dal papà nel 1988 con Pamela Villoresi. Il 30 sarà a Benevento, il 2 gennaio a Cassino, per approdare il 4 e il 5 al Teatro Argentina di Roma.

Flavio Insinna con Luca Manfredi e Giulia Fiume (foto di Danilo D'Auria)

Insinna ha il ruolo di Ugo, un orso, intellettuale che vivacchia scrivendo per la tv e per il cinema e sogna di fare il film della vita. Quando Anna — nome d’arte “Principessa” — una prostituta disordinata e rumorosa (Giulia Fiume, è la sorella di Luisa Ranieri in Lolita Lobosco) lascia aperto il rubinetto dell’acqua della vasca e allaga il suo appartamento, Ugo si trasferirà a casa di lei. Un incontro/scontro: modi di vivere, ideali, scelte diverse. Due mondi che si confrontano, su tutto.

Come si è avvicinato al ruolo?

«Nella consapevolezza che è l’omaggio, fatto con grande sentimento, a un gigante inarrivabile, un fuoriclasse. Siamo innamorati di attori come Manfredi, Sordi, Gassman, Mastroianni, Volonté. Nessuno pensa di poterli emulare, mi avvicino a Nino in punta di piedi. Abbiamo provato tanto, limato il testo, Luca ha velocizzato alcuni passaggi ma è rimasto l’impianto anni 80: è artigianato teatrale, speriamo che il pubblico si diverta».

DANILO D'AURIA

Era intimorito?

«Ero spaventato dal confronto, la prima cosa che ho detto a Luca è stata: “Sei proprio sicuro, sì?”. Il destino è strano, avevo conosciuto suo padre da ragazzo».

Quando?

«Ai tempi della scuola di Gigi Proietti. Per un caso fortunatissimo, ci assegna un compito a gruppetti di tre, una specie di tesina, con prove teoriche e pratiche. Con Nadia Rinaldi e Gabriele Cirilli ci manda a fare un’intervista a Nino Manfredi, che ci accolse nella casa all’Aventino, era il febbraio dell’89. Mi sono immerso nella mia cantina, in quella a casa di mamma, per cercare tra i ripiani la preziosissima audiocassetta dell’intervista, da cui poi ricavammo un articolo. E ho fatto una sorpresa a Luca. Emozionante: Nino racconta a ruota libera la voglia di giocare, di inventare… Il destino: passa una vita, e il figlio mi affida il ruolo del padre».

L’intellettuale che interpreta è un uomo chiuso: le somiglia?

«Oddio no, forse in qualche cosetta. È un bel disperato, un orso, va bene. Però quante ne conosciamo di persone così? Io le guardo con grande tenerezza. Quanti ne hai visti di aspiranti registi seduti in trattoria col loro copione che nessuno produrrà, quanti sono i campioni mancati che se non si fossero rotti il menisco sarebbero chissà dove o quanti attori pieni di amarezza incrociamo? “Quel provino non andò bene, se no…”. Conosco quel mondo, è reale. Proietti diceva: “Recitare è un mestiere che può lasciare infelice”. Davvero, è un attimo».

‘La stoccata vincente’ con Flavio Insinna. La storia di Paolo Pizzo, il campione che ha sconfitto il cancro

Il ricordo di una serata infelice?

«La replica di uno spettacolo in Sicilia, sala peraltro piena di miei parenti. Sa com’è, nemo propheta in patria. Sentivo gli spettatori gelidi, alla fine il direttore mi fa: “Insinna, un trionfo”. Lo guardo perplesso, e lui: “Ma come, sono rimasti tutti fino alla fine”. Il teatro è il vero confronto con gli spettatori, il luogo dove ti misuri».

Dica la verità: le mancherà la ghigliottina? In fondo conduceva L’eredità dal 2018.

«Fosse successo a 30 anni, di non condurre più un programma, credo che avrei reagito in un altro modo. Rabbia e paura: “E adesso?”. Ma ho 58 anni, e a 58 anni sei obbligato ad avere il cervello della tua età. Accetti le decisioni. Poi non si può neanche pensare di condurre la stessa trasmissione per tutta la vita».

La guerra televisiva a colpi di quiz

Quindi nessun rimpianto, nessun rancore?

«Scherza? Per la Rai provo solo riconoscenza. Lo dissi anche alla conferenza stampa del film tv La stoccata vincente, la storia del campione di scherma Paolo Pizzo: viviamo in un mondo in cui pensiamo che siamo solo i risultati che otteniamo, e esistono solo i miliardi di visualizzazioni. Non è così. La vita è il rapporto con gli altri, darsi».

L’addio di Flavio Insinna a l’Eredità: “Siete stati la mia famiglia”

Breve storia di Insinna e la Rai?

«Quasi trent’anni, credo, di percorso insieme: Don Matteo, Ho sposato uno sbirro, Affari tuoi, le poi le serate speciali, Telethon, telefilm su telefilm. La Rai mi ha cambiata la vita. Ora è finita con L’eredità?, va bene ma c’è il teatro poi la fiction, ci possono essere altre cose. Non faccio il buono, la mia è la riflessione di uno che ha quasi 60 anni e ha lavorato tanto».

L’età porta saggezza?

«Porta riflessioni. Ti pensano per delle cose; arrivati a questa età, per altre. Ho vissuto stagioni piene, ricordo quando ho iniziato a provare in studio, la scomparsa di Fabrizio Frizzi è stato un dolore immenso. Con l’aiuto di Carlo Conti — il mio viatico, e ancora lo ringrazio per l’aiuto — sono entrato nella famiglia dell’Eredità, in milioni di case. Abbiamo fatto il quiz in condizioni normali, con lo studio vuoto, con la pandemia, quando c’è stata la guerra, coi mondiali del Qatar e la gente ci ha sempre voluto bene. Dico ancora grazie, è stato bellissimo. Ringrazio per quello che ho avuto e quello che sarà ce lo godremo».

Pensare positivo aiuta?

«Rivendico la maturità: non c’è più una cosa, ne succederà un’altra. O come dicevano le nonne: “Chiusa una porta, si apre un portone”».

Grande fair play.

«Che ho studiato a fare tutta una vita? A cosa sono servite le serate con Proietti, Abatantuono, con Frassica? Tempo fa mi hanno regalato un libro sulla vita di Bruce Lee. Non lo prendono per una grande serie americana, ci resta male. Ma dice che se avesse perso tempo col rancore, non sarebbe servito. Ha fatto i film che lo hanno reso un’icona. Nella vita bisogna saper voltare pagina».

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