La Transnistria ci riprova: “Pronti ad aderire alla Russia”

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Il prossimo 28 febbraio il Congresso dei Deputati del Popolo della Repubblica della Transnistria si riunirà in una sessione speciale per ribadire la volontà di essere integrati nella Federazione Russa. Non è ancora chiaro se verrà indetto un nuovo referendum o se il Congresso si limiterà a rivolgere un appello a Mosca per chiedere che i circa 500.000 abitanti della regione autoproclamatasi indipendente dalla Moldavia vengano annessi alla Russia.

Il playbook è lo stesso del Donbass, della Crimea in Ucraina e prima ancora di Abkhazia e Ossezia del Sud in Georgia: c’è una minoranza russa che è perseguitata e minacciata dall’espansione di Europa e Nato e soprattutto, come ripete spesso il satrapo di Mosca, c’è la necessità di riparare alla «catastrofe della dissoluzione dell’Unione sovietica: un dramma per decine di milioni di connazionali abbandonati fuori dai confini della Russia». La narrazione ricorda quella che utilizzò il Terzo Reich per “salvare” negli anni ‘30 i Sudeti e la popolazione di lingua tedesca della Boemia e della Moravia.

La Transnistria e la Moldavia facevano parte dei piani russi di invasione del’Ucraina del febbraio di due anni fa: il dittatore bielorusso Lukashenko rivelò ai media una mappa militare che prevedeva, dopo la rapida conquista di Kiev, l’occupazione di tutta l’Ucraina meridionale, la riunificazione con la Transnistria e l’occupazione della Moldavia, antica repubblica dell’Unione Sovietica, oggi in corsa verso l’integrazione europea.

Nel 1990 poco dopo la dissoluzione dell’Urss, la 14^ Armata dell’Esercito Russo, stazionata a Tiraspol nell’est della Moldavia, combatté contro le truppe moldave e rumene in una guerra che in due anni provocò oltre cinquemila morti. Nacque così la Repubblica di Transnistria, uno “stato fantasma” con governo, parlamento, ministeri, esercito e valuta propri, passaporti e perfino il riconoscimento diplomatico di altre due invenzioni russe: l’Abkhazia e l’Ossetia del Sud. Oggi di quella presenza militare russa sono rimasti soltanto due battaglioni motorizzati e una stazione del Fsb, per un totale di circa 1.500 uomini.

L’accelerazione di queste ore non è però casuale: lo scorso 14 dicembre il Consiglio Europeo ha deciso di avviare i negoziati per l’adesione della Moldavia (oltre che dell’Ucraina) all’Unione Europea.

Da quel giorno le azioni di guerra ibrida e asimmetrica contro Chisinau non si sono fermate: le fabbriche russe dei troll sono invase in queste ore da attività di disinformazione sulla Moldavia e sulla presidente europeista Sandu; il Cremlino ha annunciato l’intenzione di installare seggi elettorali a Tiraspol e in altri centri della Transnistria per permettere ai russi lì residenti di votare alle prossime presidenziali del 15-17 marzo; sono riprese le interferenze nella piccola Gagauzia (una regione all’interno della Moldavia popolata da turchi cristianizzati con rivendicazioni di autonomia).

Un’azione militare oggi della Russia sarebbe molto complessa ma non impossibile, e permetterebbe a Mosca di aprire un nuovo fronte orientale contro l’Ucraina minacciando le province di Odessa e di Vinnytsa, entrambe confinanti con la Transnistria, e contemporaneamente di mettere un cuneo estremamente pericoloso nella Moldavia.

Vladimir Putin è in una fase di “rilancio”: la cattura pur a costi umani e militari altissimi di Avdiivka; l’omicidio di stato di Aleksej Navalny; le manovre militari congiunte con Iran e Cina nello stretto di Hormuz; e ora la possibile carta della Transnistria. Sono tutte indicazioni del fatto che il Cremlino voglia capitalizzare al massimo il momento di incertezza dell’occidente, con forniture militare rallentate e l’ultima tranche di fondi che il Congresso Usa non riesce a sbloccare per i veti repubblicani.

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