Fini, Tulliani e la casa a Montecarlo: la vendetta di Berlusconi tra intrighi immobiliari e macchina del fango

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ROMA — Per fortuna o purtroppo, dipende dalle situazioni e dai punti di vista, la memoria è selettiva e oggi la casa di Montecarlo, boulevard Princesse Charlotte 14, si confonde e si perde in una nebbia di torbide storie e coevi scandali a ripetizione, Ruby e le olgettine, la Cricca, il caso Boffo, l’affaire Marrazzo, beato chi riesce oggi a trarne qualche insegnamento – se non quello che una volta partita, la macchina del fango non si ferma più.

Se può aiutare, era l’estate del 2010. Appena due mesi prima il terreno immobiliare era stato concimato dai nefasti della casa di Scajola, celebrata nelle cronache come acquisto “a sua insaputa”. Sul piano politico in primavera Gianfranco Fini aveva rotto con Berlusconi: “Che fai, mi cacci?”. La bolla di espulsione di Palazzo Grazioli, in effetti, l’aveva raggiunto alla fine di luglio. Neanche una settimana e la poco edificante vicenda della casa di Montecarlo venne puntualmente squadernata come ritorsione per la rivolta e il tradimento di Fini.

Su questo non c’è il minimo dubbio. E tuttavia nel commissionare indagini sul magheggio monegasco, nell’estenderle proficuamente anche fuori Italia e nel dargli il più alto risalto sui suoi giornali e sulle reti Mediaset, oltre alla voglia di vendicarsi il Cavaliere aveva la necessità di deviare l’emozione pubblica sulle sue troppe magagne, e perciò più ne venivano fuori, a 360 gradi, e meglio era.

Ciò detto, Fini dimostrò il massimo dell’ingenuità accettando, quand’era leader di An, un lascito ereditario che l’anziana contessa Colleoni, discendente del capitano di ventura, aveva destinato ad An per continuare “la buona battaglia”. Di quella donazione, oltre a un appartamento a Roma e a una tenuta in Umbria, faceva parte appunto la casa di Montecarlo. Ora, un po’ come Craxi a suo tempo, il vero guaio è che Fini esercitava sul partito un comando così esclusivo e assoluto da annullare qualsiasi differenza tra ciò che era suo e ciò che invece apparteneva al partito. E dunque: sottoposto alla pressione dei familiari della sua nuova compagna, Elisabetta Tulliani, di cui era innamoratissimo, non solo il presidente della Camera e leader di An quell’appartamento se l’era tenuto, ma – secondo l’accusa – l’avrebbe pure messo a disposizione del cognato, non esattamente uno stinco di santo, per ulteriori business.

Agli appassionati si dirà che la contessa, assai amante degli animali, aveva vincolato il lascito anche alla cura di una gatta, di nome Piumina, di cui Fini e gli ineffabili amministratori di An si disinteressarono. Ma ciò che qui si vorrebbe mettere più seriamente in evidenza è che la storia ebbe rapida ed efficace presa perché metteva a disposizione del pubblico qualcosa di fin troppo umano e alla portata di tutti: una casetta con la metratura giusta, 55 mq, per le vacanze e per una vita da felici pensionati; un luogo vicino all’Italia, ma non troppo, comunque esentasse, prestigioso ed evocativo, da 007 a Grace e Carolina di Monaco; infine una famigliona invadente e un cognato famelico da accontentare per amor di quiete – a parte la pretesa, tipica dei potenti, di farla comunque franca.

E invece partì la stagione venatoria dell’informazione berlusconiana, intensificandosi sulla “pista del mobilio” alla caccia di una cucina Scavolini color bianco e modello “Scenery”, la più amata eccetera, che Gianfry e Betty avrebbero acquistato presso Castellucci Arredamenti al 13esimo km dell’Aurelia, prova regina del loro interesse. In un bailamme di spedizionieri e mappe catastali, l’intero mondo politico, a partire dagli esponenti del partito finiano Futuro e libertà, intervenne per dividersi su quelle dotazioni, mentre l’eredità della povera contessa si rivelava un discreto affaruccio per i Tullianos. Poi, dall’Aurelia, sempre seguendo la pilotina delle investigazioni berlusconiane, la faccenda si spostò ai Caraibi e qui, come in un romanzo di Ellroy, s’incrociarono controversi affaristi siciliani, casinò, scommesse, riciclaggio – a riprova che quando c’entrano i soldi e il potere le rogne sono sempre più brutte di quanto già sembrano.

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