Terremoto L’Aquila, la lettera di Giustino Parisse ai figli morti sotto le macerie. “Il senso di colpa mi insegue ovunque”

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Ciao ragazzi. Eccomi di nuovo qui. Sono passati 15 anni da quella notte che per voi non è mai finita. Vergare questa lettera ogni 12 mesi è diventata una fatica. Temo sempre di dirvi più o meno le stesse cose eppure quando si avvicina il 6 aprile non posso fare a meno di mettermi davanti al computer e parlare un po’ con voi. Sì parlare. Scrivere è il mio lavoro. Il pc è il compagno della mia vita. Eppure “rammendare” su un foglio bianco i fili dei ricordi e tornare a legare il dolore al grande vuoto che ci avete lasciato è arduo, a volte penso che sia persino inutile.

Ma anche questa volta non voglio arrendermi e provo a raccontarvi l’anno che abbiamo alle spalle. Fra poco più di un mese, tu, Maria Paola, avresti compiuto 31 anni e tu, Domenico, all’inizio di agosto, 33. Non riesco nemmeno immaginare come potrebbe essere la nostra vita se voi foste ancora qui. L’altra sera insieme a mamma Dina, con un velo di malinconia, ci siamo detti che in questa tarda stagione della nostra vita avremmo sognato di passare tanto tempo a baloccarci con i nipotini. Portarli a spasso in carrozzina, cullarli per farli dormire, spazientirsi quando avrebbero fatto i capricci, preparare pranzi e cene per stare insieme come una grande famiglia. Ma ormai ci è vietato persino sognare. Quello che ci resta sono i vostri sguardi e i vostri sorrisi filtrati da 15 anni di rabbia, amarezza, nostalgia, sofferenza, notti tormentate e giorni che non fanno sconti. La vita continua fra mille incognite, bollette da pagare, inciampi a ogni angolo, salute che traballa e che ci ricorda che siamo ormai nelle ore del tramonto.

Quest’anno posso dirvi che finalmente è iniziata la ricostruzione della nostra casa fra via Oppieti e via dei Calzolai. Ma c’è poco da festeggiare. Ci vorranno quasi tre anni per i lavori. Se tutto va bene la “riavremo” a 20 anni di distanza da quei 20-30 secondi che l’hanno distrutta facendone la vostra tomba.

Vi risparmio i dettagli di come si è giunti all’avvio del cantiere. Per ora li sto appuntando in una sorta di diario (un quaderno con la copertina nera) che un giorno, forse, qualcuno avrà la bontà di leggere. Modello L’Aquila, ricostruzione etica, rinascita sociale. Frasi e parole buone per i convegni. La realtà è ben diversa. La nostra (vostra) biblioteca-archivio – a Dio piacendo –tornerà in via Oppieti e sarà, spero, scrigno di memorie vecchie e recenti. Oggi a Onna si vedono case ricostruite, macerie, qualche cantiere aperto, altri “aggregati” in attesa. Ci vorrà tempo per vedere la fine della ricostruzione privata. La situazione è invece all’anno zero per quanto riguarda gli spazi pubblici e i sottoservizi. Strade, piazze, pavimentazione, slarghi, illuminazione, arredo urbano, verde attrezzato, numeri civici: tutto al di là da venire. Per ora sappiamo che le vie man mano che sarà necessario saranno asfaltate (nero vivace) e così resteranno per generazioni fra una toppa e l’altra da mettere all’occorrenza. L’illuminazione sarà casuale (una lampadina dove serve e via). I sottoservizi saranno un rattoppo continuo (in via Oppieti i lavori sono fermi da mesi). Le piazze _ così come la pavimentazione stradale a selci _ saranno un antico ricordo, il numero civico ognuno se lo andrà a comprare al centro commerciale più vicino. Pessimismo? Sì. Io continuo vedere il mondo da sotto le macerie, un mondo che sembra ormai impazzito e nel quale persino parlare di guerra atomica non è più un tabù.

Ragazzi, i vostri amici, come vi ho sempre scritto in questi anni, non vi hanno dimenticato. Cara Maria Paola, la tua amica Paola continua a portarti lettere nella cappellina del cimitero di Paganica. In una delle ultime ha scritto : “Mi chiedo: chissà come saresti oggi, chissà che strada avrebbe preso la tua vita, chissà che università o che lavoro avresti scelto… chissà cosa avresti pensato di questa situazione. Forse saresti stata in prima linea come medico, infermiera o forse avresti raccontato la realtà in un articolo di giornale, come tuo padre. Chissà se avremmo lavorato insieme o se ci saremmo raccontate le nostre vite per telefono data la distanza di chilometri o forse ci saremmo potute incontrare in un bar della stessa città. Nella vita si incontrano tante persone ma con alcune si ha la fortuna di scegliersi, di trovarsi e di costruire una amicizia importante. Con te è stato così. Sarai sempre la quindicenne con cui ridevo, parlavo dei primi amori, dei compiti in classe, delle nostre vite che ci sembravano cose impossibili e complicate. Ti ricorderò sempre con il Sorriso”.

Frugando fra le montagne di carte che mi circondano ho trovato un tema che tu, Domenico, avevi scritto quando frequentavi la scuola media. Il tema era sulla tua famiglia e in un passaggio leggo: “Le sensazioni che provo sono: felicità e tanto amore e affetto perché io sto bene con i miei familiari e con gli amici perché mi vogliono bene come io gliene voglio”.

Spero che, dopo ciò che è successo 15 anni fa, non hai cambiato idea. In fondo quella fiducia che avevi in me, io quella notte l’ho tradita. So che ripeto sempre la stessa cosa ma nonostante gli sforzi che faccio l’ombra del senso di colpa mi insegue ovunque. Resta la vostra memoria. L’amore spezzato. Il pianto dolce che nasce da una complice tenerezza. Dalla finestra vedo che sta calando il buio. Il Gran Sasso scompare dall’orizzonte. Vi sto scrivendo la sera del Venerdì Santo giorno di morte e dolore. Ma fra poche ore sarà Resurrezione. E’ l’unica, vera, speranza che ci resta. Ciao ragazzi. Ci sentiamo fra un anno. Se Dio vorrà!

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