Tredici miliardi di tagli per salvare il Pnrr. Ispezioni e soldi da restituire: la stretta su ministeri e Comuni in ritardo

Pubblicità
Pubblicità

ROMA – Nella partita del Pnrr è scattata la caccia ai responsabili dei ritardi. Il ministro-regista Raffaele Fitto la chiama “responsabilizzazione”. Ma la norma che spunta nel decreto per accelerare la spesa è un ultimatum. Ai ministeri, ma anche ai Comuni e agli altri soggetti attuatori. Dice, l’aut-aut del governo, che chi è “inadempiente” sugli obiettivi dovrà restituire le risorse ricevute, fino ad arrivare a pagare di tasca propria.

Il governo ammette la frenata, spesi solo metà dei fondi Pnrr. Derby Fitto-Giorgetti per la poltrona di commissario Ue

La “minaccia” viene brandita con un meccanismo puntuale: se la Commissione europea accerterà “l’omesso ovvero l’incompleto conseguimento” del target, si legge nella bozza del provvedimento, allora la Ragioneria chiederà all’amministrazione titolare dell’investimento di restituire gli importi percepiti.

E “se la riduzione” del finanziamento sarà “superiore agli importi nel frattempo erogati” allora sarà il gestore dell’investimento a pagare la differenza. Come? Rinunciando ai soldi ricevuti dallo Stato per altri investimenti.

Eccola la nuova centralizzazione del Pnrr. Sotto la supervisione della Struttura di missione, il “soviet” di Palazzo Chigi che potrà anche decidere di effettuare ispezioni e controlli a campione nei dicasteri e nei Comuni. In tre ministeri (Università, Interno e Lavoro) arriveranno i commissari, con tanto di struttura al seguito, per velocizzare alcuni investimenti: la creazione di 60 mila nuovi posti nelle residenze universitarie, il recupero dei beni confiscati alla mafia e il superamento degli insediamenti abusivi nei campi agricoli.

E il “Grande fratello” potrà avocare a sè poteri sostitutivi se accerterà “disallineamenti o incoerenze” rispetto ai cronoprogrammi degli interventi che i soggetti attuatori sono chiamati ad aggiornare sulla piattaforma di rendicontazione ReGis. Poteri che scatteranno dopo appena 21 giorni dalla prima richiesta di chiarimenti, se il timing risulterà ancora incoerente rispetto all’accertamento.

Ma quello approvato ieri dal Consiglio dei ministri è anche il decreto “taglia e cuci” chiamato a trovare i soldi per i nuovi progetti del Pnrr e per salvare quelli cancellati. Un rebus complesso che il governo ha generato con la revisione del Piano e che ora risolve sottraendo risorse ad altri investimenti e impiegando fondi non spesi.

Pnrr, l’emergenza dimenticata della Sanità

Tagli e rimodulazioni, quindi. Come i 2,2 miliardi sottratti al Piano nazionale complementare, il fondo gemello del Pnrr: a saltare gran parte delle risorse per le infrastrutture. L’elenco è lungo: ferrovie regionali, controllo da remoto di ponti e viadotti, elettrificazione delle banchine e altri lavori nei porti. Vengono prelevati anche 250 milioni che erano stati assegnati alla ricostruzione delle aree terremotate (L’Aquila e Centro Italia).

In tutto sono circa 13 i miliardi dirottati da altri fondi, compreso quello “Sviluppo e coesione” (5 miliardi), per coprire i costi delle nuove misure. A pagare il conto sono anche i Comuni, che dal 2026 dovranno rinunciare a 1,8 miliardi: meno risorse per gli investimenti e la messa in sicurezza di edifici e territori.

Ma il decreto “collage” salva anche i progetti espulsi dal Pnrr, per un valore totale di 22 miliardi. Dodici sono relativi a progetti “in essere”, quindi già finanziati a legislazione vigente: dentro anche le piccole opere dei Comuni (6 miliardi).

Transizione 5.0 dal Pnrr aiuti in tre fasce alle imprese

Gli altri dieci, la maggior parte dei quali affidati ai sindaci, vengono ripristinati integralmente. Si salvano, tra gli altri progetti, i Piani urbani integrati (Pui) per la riqualificazione delle periferie e la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto (1 miliardo).

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *