Monfalcone, crociata anti Islam. “La sindaca vieta la preghiera”

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Dalle parole ai fatti. L’allarme “islamizzazione e sostituzione” degli italiani, lanciato da Anna Maria Cisint, sindaca di Monfalcone e astro nascente della Lega, dal palco della convention sovranista di Firenze il 3 dicembre scorso, è diventato una decisione concreta: ai bengalesi di Monfalcone è vietato pregare. Sono musulmani, si arrangino.

Moschee non ne hanno, due centri culturali sono stati chiusi con una ordinanza comunale del 15 novembre. Se proprio vogliono pregare, lo facciano a casa loro. In privato, clandestinamente. Una settimana fa una trentina di musulmani, in mancanza di meglio, si sono raccolti in preghiera nel parcheggio di un ex supermercato. E sono stati subito raggiunti – raccontano – da una nuova ordinanza di diffida.

La sindaca Cisint ha ingaggiato una crociata anti Islam. Il suo discorso al raduno di Salvini è stato tra i più applauditi. Avvertiva che Monfalcone è l’esempio del rischio incombente: “Gli islamici vogliono sostituirci. Me l’ha detto l’imam: ‘Non vogliamo integrarci ma sostituirvi’”.” E per rendere più chiaro il concetto, ha raccontato di una donna incinta accompagnata dal marito musulmano presso la ginecologa, che si era lasciato andare alla considerazione: con le nostre pance e le vostre leggi, vi sostituiremo anche in fretta.

Monfalcone ha raggiunto i 30 mila abitanti, di cui oltre 6 mila sono stranieri prevalentemente del Bangladesh, a maggioranza musulmana, richiesti per lavorare nei cantieri navali. All’anagrafe sono censite 83 lingue. Nella terra di frontiera goriziana ci sono sempre stati scambi e contaminazione. Ma ora è la paura dello straniero a farla da padrone.

Tanto che due parroci di Monfalcone, don Flavio Zanetti e don Paolo Zuttion, hanno distribuito un comunicato per tranquillizzare i fedeli dal titolo: “Su varie preoccupazioni vi diciamo questo”. E dicono, tra l’altro, a proposito delle moschee che la sindaca sospetta essere luoghi di fanatici integralisti: “Noi non pensiamo che lo siano”. Vogliono islamizzarci tutti? I parroci tranquillizzano: “Nessuno può impedirci di essere quello che siamo, nessuno può islamizzarmi se io sono autenticamente un cristiano cattolico…”. Sulla paura dell’invasione dei musulmani avvertono: “La paura è una cattiva consigliera”. A proposito della chiusura dei due centri: “Se il problema è il sovraffollamento di alcuni locali, è bene che questo venga impedito”. Però “hanno il diritto di pregare, siamo noi cattolici quelli che nel mondo sostengono la libertà religiosa, ovunque”. In questo clima così teso qualche giorno fa sono state recapitate alcune pagine del Corano bruciate ai capi della comunità islamica.

Cisint è data come probabile candidata alle europee. In via Bellerio apprezzano molto l’escalation del Comune di Monfalcone che dallo stop estivo ai burquini in spiaggia (finito in un nulla di fatto), dopo il calmiere sulla presenza di bimbi stranieri nelle classi (non possono essere oltre una certa percentuale per rispetto degli italofoni), è approdata alla chiusura dei due centri culturali islamici: Darus Salaam e Baitus Salat. Chiusi formalmente per una questione di destinazione d’uso e di capienza. In 14 ispezioni consecutive dei vigili urbani, sempre di venerdì, giorno di preghiera, la sindaca ha certificato che l’attività prevalente era appunto la preghiera. Ne ha dedotto che erano diventati luoghi di culto. E poi, come ha gridato davanti alla platea salviniana, “in quei luoghi non si parla italiano, non sappiamo se predicano l’odio”.

“Ma noi sappiano che sono ragioni politiche quelle che la muovono, perché le nostre preghiere sono di 5 minuti per 5 volte al giorno e quindi sporadiche nei centri culturali”, replica Bou Konate, ingegnere di origini senegalesi, ex assessore ai Lavori pubblici di Monfalcone. Annuncia il ricorso contro la chiusura dei centri. Una mobilitazione è già partita. Il Pd, la sinistra, alcune associazioni hanno deciso in una assemblea cittadina che la misura è colma. E con lo slogan #Monfalconeunita, vanno alla riscossa. Lucia Giurissa, consigliera dem, parla di una situazione che “può diventare esplosiva perché fomenta lo scontro, l’esclusione e crea disperazione. La sindaca pensi al suo lavoro che è prendere in carico la complessità di Monfalcone”. Linda Tomasinsig, responsabile regionale immigrazione del Pd, rincara: “Gli animi sono esasperati. La scommessa è l’inclusione”.

A Firenze la sindaca ha infiammato la platea: “Se non siamo combattenti siamo finiti. Quello che succede a Monfalcone, che è una città che governiamo da sei anni e mezzo, è quello che potrà succedere nel Friuli Venezia Giulia e in tutta Italia. Noi su 30 mila abitanti abbiamo il 30% di stranieri, la cui maggioranza è islamica”. Alla domanda, ma questi centri quando li riapre? Risponde: “In uno Stato di diritto la legge è uguale per tutti, pertanto se sono violate le norme comprese quelle di natura urbanistica, è necessario ripristinare la legalità/legittimità”.

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