L’imprenditore veneto Carraro: “Se Zaia non corre la regione sarà terra di conquista. Ma noi vogliamo stabilità”

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«Da imprenditore, e da osservatore del territorio, dico che noi veneti siamo abituati alla stabilità politica, e la apprezziamo. Ora invece si apre una fase inedita e concitata, se Zaia non potrà correre per il terzo mandato la nostra regione diventerà territorio di conquista». Enrico Carraro, al vertice della multinazionale padovana dei sistemi di trasmissione, è presidente degli industriali veneti.

Manca un anno alle regionali e crescono le tensioni tra i partiti di maggioranza, Fratelli d’Italia e Lega, e dentro al Carroccio, tra l’anima veneta e quella nazionale di Salvini. Da imprenditore la preoccupa questo scenario?

«Direi che non c’è niente di peggio. Noi veneti siamo abituati a lavorare a testa bassa, ad occuparci di politica ogni cinque anni, cioè quando bisogna votare, e poi dimenticarcene. L’instabilità fa male a tutti, vale a livello nazionale come a livello locale: al di là di colori e schieramenti, per gli imprenditori la chiave è la continuità delle politiche. Vedo che c’è molto movimento anche dentro la Lega. Da osservatore, non da tifoso, noto che Zaia è stato rieletto nel 2020 con il 76% dei voti, percentuali che non aveva neppure la Dc, e lì dentro ci sono voti di operai, contadini, piccoli imprenditori e grandi imprenditori. Rispetto alla stabilità che ha garantito si apre una nuova era».

Il Veneto leghista dà lo sfratto a Salvini: “O va via con le buone o lo cacciamo noi”

Molti leghisti veneti imputano alla Lega di Salvini di aver abbandonato il ruolo di “sindacato del territorio”, capace di interpretarne le esigenze con pragmatismo. Un ruolo che invece Zaia incarna.

«Su questo Zaia è bravissimo, un politico di razza. Ma è abbastanza normale che più un partito diventa grande ed eterogeneo, meno riesca a interpretare le istanze dei vari territori».

Ci sono temi, come la necessità di accogliere più lavoratori immigrati, dove la posizione degli imprenditori veneti sembra molto distante dalla retorica della Lega nazionale. È così?

«Guardi, nel Veneto cosiddetto “leghista” ci sono grandi esempi di integrazione virtuosa, le istanze delle aziende sono cambiate, anche per le difficoltà di reperire manodopera, e pure la politica si è sviluppata di conseguenza. La grande differenza è tra chi ha una visione del territorio e chi invece deve fare politica nazionale, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Sono due lavori diversi».

Ha il timore che alle regionali finiscano per correre candidati calati dall’alto secondo logiche nazionali, più che espressione del territorio? Si fa il nome anche dell’attuale ministro dello Sviluppo economico Urso.

«Non commento sui nomi. È un timore che dovrebbero avere tutti, a cominciare dai partiti. Molte volte abbiamo visto politici paracadutati: in un mondo normale in una regione sviluppata come il Veneto emergono candidature del territorio. E io spero che succeda anche in questo caso».

Si ipotizza, se Zaia non potesse ricandidarsi, una sua corsa autonoma a supporto di un governatore vicino, per poi agire da presidente “ombra”. La convince?

«La decisione spetta a lui, ma non penso che Zaia si presterebbe a fare il governatore ombra di nessuno. Una formula del genere non sarebbe neppure d’aiuto, la politica ha bisogno di soluzioni limpide e chiare».

È immaginabile uno spostamento massiccio del Veneto dalla Lega a Fratelli d’Italia?

«Non sono in grado di rispondere. Ribadisco: quanto più i vari partiti riusciranno a scegliere qualcuno legato alle nostre competenze e alla nostra gente, tanto più questo candidato, che sia di Fratelli d’Italia, della Lega o dell’opposizione, ha possibilità».

Una delle grandi battaglie di Zaia per il Veneto, quella per l’autonomia, è incardinata tra le riforme del governo. La considera un’opportunità o rischia di spaccare l’Italia, come dicono in molti?

«Può essere un’opportunità, anche per le regioni meno sviluppate e che la temono di più, perché vuol dire prima di tutto responsabilizzare la classe dirigente dei territori. Tutti sanno che l’Italia deve procedere unita, che un Sud forte avvantaggia anche il Nord. Io credo che se fatta bene, senza allargare i divari, la riforma possa far funzionare meglio il sistema».

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