D’Amico, il rammarico per l’astensionismo: “È la sconfitta più bruciante ed è colpa mia”

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PESCARA – Il professore arriva puntuale come un bancario svizzero, elegantissimo, la barba curata, le scarpe lucide, ai giornalisti che lo aspettano nel suo comitato chiede “come state?”, “vi siete trovati bene?”. E si capisce da questi dettagli che Luciano D’Amico forse è troppo educato per la lotta politica.

Come spiegare che non è riuscito a mobilitare gli astensionisti, il voto d’opinione? Sono andati a votare in tremila in meno dell’altra volta. Ancora domenica pomeriggio quelli del suo staff ti mostravano le foto con le file agli uffici comunali per rifare la tessera elettorale, era il segno che i riluttanti stavano uscendo dal riflusso per mandare a casa la destra. Un’illusione, come certi sogni che non riusciamo ad afferrare. E infatti ora Mirko Rossi, il capo della campagna di D’Amico, ammette sconsolato: “Abbiamo buttato i soldi nei sondaggi, non hanno azzeccato una previsione!”.

Il professore D’Amico, mite, sorridente, l’eloquio fattuale, viene accolto con un applauso dai suoi. “Che persona meravigliosa”, commenta una signora. “Molto di più” è slogan che campeggia alle sue spalle, bianco e verde sono i colori della sua sede, in piazza Unione. Poi dichiara davanti a una selva di microfoni per venti minuti, usando parole di verità: “Mi assumo la responsabilità del fatto che due abruzzesi su quattro non sono andati alle urne. Non siamo riusciti a spiegare, specie ai giovani, che la Regione impatta sulle loro vite quotidiane. È per me la sconfitta più bruciante”.

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Prima di sedersi qui ha chiamato Marco Marsilio e gli ha fatto i complimenti. Anche Schlein e Conte l’hanno chiamato. Come spiega che i cinquestelle si siano fermati al 7 per cento? Nella Marsica battuta palmo a palmo dall’avvocato del popolo la destra ha distaccato il centrosinistra di 23 punti. “Eh”, fa il professore, “loro vanno meglio alle politiche, però li ringrazio per il contributo al programma, alla coalizione”. Resta il fatto che le terre di Fontamara si sono votate alla destra, l’interno si sente rassicurato più da Giorgia Meloni che da Elly Schlein, le città hanno tenuto, però solo nella Teramo, dove D’Amico ha fatto il rettore, il centrosinistra ha vinto.

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Il professore dice che questa esperienza non va dispersa, che va forgiata un’unità nell’opposizione per “costruire un’alternativa al governo delle destre”, e tuttavia “non siamo riusciti a spiegare bene il nostro programma”. Di quarantatremila voti è il distacco tra chi ha vinto e chi ha perso. Una differenza abissale. “Nessuno ci aveva capito un c…”, commenta un militante. E vale più di un editoriale.

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D’Amico ha percorso 40mila chilometri, “come aver fatto il giro del mondo, la gente chiede lavoro e sanità”. E lo chiede alla destra. Chi è stato in Sardegna percepisce una differenza sostanziale con l’isola: stavolta le mance distribuite dal governo regionale, i 150 milioni elargiti dalla giunta, le promesse di palazzo Chigi, i dodici ministri giunti in ogni contrada d’Abruzzo, hanno pesato. “Pioggia milionaria” la definisce D’Amico. “Qualcosa ha prodotto”. L’Italia profonda è l’Italia di sempre.

Davanti alla sede troneggia la statua di Ennio Flaiano, il sommo. Nella notte è caduta fitta pioggia, ora splende il sole, tra un po’ sarà primavera, ma per la sinistra l’inverno continuerà. Carlo Calenda invia però un suo messaggio esultante nelle chat: Azione ha preso il quattro per cento, e ottiene un consigliere. Nelle sconfitte ognuno è felice a modo suo.

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