Eredità Agnelli, il Tribunale del Riesame: “Imposta non pagata, i fratelli Elkann sapevano”

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Dalle carte della Dicembre ai documenti presi nelle fiduciarie, «ogni foglio di ogni faldone, scatola, archivio, può contenere dati essenziali per ricostruire i redditi (o il patrimonio) degli indagati e di Marella Caracciolo, utile a verificare l’esposto». Sono giustificati i sequestri per l’inchiesta sull’eredità Agnelli. Perché, secondo i giudici del Tribunale del Riesame, ci sono sufficienti indizi «per tutti i reati ipotizzati» nel provvedimento della procura che può considerarsi «nuovo» dal punto di vista «grafico, storico e di contenuti».

L’elemento di novità era la contestazione di truffa ai danni dello Stato, estesa non solo a John Elkann, ma anche ai fratelli Lapo e Ginevra, oltre che al commercialista Gianluca Ferrero e al notaio svizzero Urs Von Gruenigen. Per i giudici, quel reato, contestato per non aver versato l’imposta di successione di un’eredità da 734 milioni di euro che avrebbero ricevuto dalla nonna Marella tramite fondi off shore, «è stato verosimile oggetto di dolo in capo a tutti i fratelli Elkann, che si è visto fossero in ottimi rapporti con la nonna e come ne conoscessero abitudini e problematiche di salute che rendevano prevalente la sua permanenza in Italia».

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Il riferimento è all’ipotesi, cardine dell’indagine, che la residenza della vedova dell’Avvocato in Svizzera fosse fittizia. «Di fronte al decesso della congiunta, è verosimile che abbiano avallato, con dolosa volontà adesiva, le strategie già suggerite e realizzate con la fattiva consulenza di Ferrero», scrivono i giudici. Ginevra e Lapo «si sarebbero limitati a un concorso morale rafforzativo verso la via già spianata dal fratello anche in loro vantaggio».

Il Tribunale sottolinea come «solo nel 2023, quasi 4 anni dopo il suo decesso» si siano «precipitati a dichiarare le risorse già incamerate dalla nonna, ancor prima che si aprisse una successione». La difesa, oltre a negare ogni accusa, aveva sottolineato che le tasse dovute erano state regolarmente pagate.

I giudici spiegano perché, nel controllare i motivi legati alle esigenze probatorie in una fase «poco più che embrionale dell’indagine», hanno respinto le istanze degli avvocati di Elkann e Ferrero che contestavano la ripetizione del provvedimento, la mancanza di pertinenza e proporzionalità, e l’incompatibilità del reato di truffa in danno dello Stato «con qualsivoglia ipotesi di reato tributario» trattandosi al più di un illecito amministrativo.

Non la pensa così il Tribunale secondo cui «i vizi» del primo decreto sono da considerarsi «sanati»: i pm Giulia Marchetti, Mario Bendoni e l’aggiunto Marco Gianoglio hanno «spiegato meglio i motivi dell’espansione dell’indagine su una più ampia ipotesi di evasione dell’Irpef» legata non più solo alla rendita vitalizia che Marella riceveva dalla figlia, ma anche ad altre voci di reddito con le «naturali implicazioni che questa estensione potrà avere sulla successiva vicenda ereditaria». E quindi era «giocoforza» necessario «che il campo di indagine si estendesse ai fratelli, e non più solo a John, per motivi anche di garanzia nel loro interesse (essendo emerso fossero i nipoti ed eredi preferenziali di Gianni Agnelli e poi di Marella).

Per i giudici, la frode avrebbe una struttura «più articolata» rispetto all’illecito amministrativo. Lo Stato sarebbe stato «ingannato e tenuto all’oscuro di ogni presupposto della sua legittima pretesa ad attivare l’apertura della successione nel proprio territorio e incamerare l’imposta nell’interesse dell’intera collettività».

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