Iran, il voto è blindato e l’affluenza ai minimi. La vera posta in gioco è l’eredità di Khamenei

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TEHERAN — Fatemeh arde d’orgoglio patrio: «Dall’Italia venite qui a fare domande sull’Iran. Preoccupatevi piuttosto della Palestina», dice mentre avvicina il viso, come in cerca della sfida. «Volete dire che l’Iran è debole, che la gente non va più a votare. Ma noi siamo nazionaliste e votiamo per difendere il nostro Paese», s’accende mentre il sole scalda l’ingresso del piccolo seggio in piazza Fatemè, nel centro di Teheran.

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La polizia sorveglia le strade, agenti in borghese scrutano passanti e marciapiedi, in auto e dalle moto. «Che fate qui? Perché riprendete?», incalza uno di loro. È giorno di elezioni, le urne sono aperte da poche ore. Sessantuno milioni di iraniani sono chiamati a votare per il Parlamento, è il primo voto dopo le grandi proteste per Mahsa Amini, e nel mezzo di una crisi economica che non accenna ad arretrare. Il clima non è quello delle grandi occasioni. C’è rabbia, disillusione. E amarezza, anche tra chi a votare una volta ci sarebbe andato.

I riformisti, i nomi grossi, i pezzi che contano, sono stati esclusi dalla competizione. E sul Sistema aleggia lo spettro di una grossa astensione. Fino a sera, è una corsa per cercare di scongiurarla. Gli appelli dei conservatori si moltiplicano. Votate per difendere la Repubblica Islamica, dice fin dal mattino la Guida Suprema, Ali Khamenei. Il nemico è quello di sempre, lo stesso indicato da Fatemeh: l’Occidente che vuole un Iran debole, delegittimato. E nemici sono gli iraniani che non si adeguano, quelli che hanno invitato al boicottaggio di un’elezione giudicata non libera né democratica, come la premio Nobel Narges Mohammadi.

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Alle 18 locali le autorità annunciano una prima estensione dell’orario di voto, poi una seconda. Si arriva fino a mezzanotte nel tentativo di portare l’affluenza sopra il 40%. Le proiezioni indipendenti della vigilia parlavano di un 38% circa di partecipazione. Quattro anni fa era stata del 42, 57%, già il dato più basso nella Storia della Repubblica Islamica. Sotto quella soglia sarebbe allarme rosso. A sera si diffonde la notizia che lo storico ex presidente riformista Khatami non ha votato. Notizia poi confermata da una fonte di Repubblica vicina all’ex presidente. È la prima volta, un messaggio di sfiducia dirompente.

Ma più che sul Parlamento, una sfida dall’esito scontato, gli occhi degli osservatori sono puntati sull’altra elezione, davvero cruciale, di questa tornata: gli 88 seggi dell’Assemblea degli Esperti, l’organo che ha il potere di nominare la Guida Suprema. Ali Khamenei ha 84 anni, il nuovo consiglio ne resterà in carica 8: è probabile che dovrà occuparsi della sua successione. Le grandi manovre sono già cominciate. La battaglia sarà decisiva per il futuro dell’Iran, e senza esclusione di colpi.

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I 144 candidati sono stati selezionati dal Consiglio dei Guardiani che ha ammesso solo chierici di provata fede, premurandosi di sbarrare la strada a qualsiasi imprevisto. All’ex presidente moderato Hassan Rohani, che pure sedeva già nell’Assemblea, non è stato consentito di ricandidarsi per difendere il posto, una squalifica che ha fatto strabuzzare gli occhi anche ai conservatori moderati. Rohani ha chiesto chiarimenti, nessuno ha risposto. Ieri si è fatto sentire con un laconico messaggio: «Votate coloro che protestano contro le condizioni attuali».

L’esclusione di un ex presidente «indica che i conservatori non vogliono correre rischi quando si tratta della transizione della leadership», dice un osservatore che conosce i palazzi del potere di Teheran. Il vero tema però è l’assenza di un candidato forte, carismatico, capace di unire le diverse anime del Sistema. «I Pasdaran e i Moderati puntano a creare un consiglio, una leadership collegiale», dice la fonte. «I moderati volevano piazzarci Rohani in questo consiglio, ma gli hanno rovinato la festa.

Gli ultraconservatori vorrebbero invece Ahmad Alamolhoda», suocero del presidente Raisi, ultraradicale che guida la preghiera del venerdì a Mashhad ed è noto per le sue intemerate contro i costumi “facili”dei giovani iraniani. L’ipotesi di una leadership collegiale si fa spazio «perché non c’è una personalità in grado di sostituire Khamenei». E perché l’Iran non è più quello del 1989. «Nessun gruppo riuscirebbe a nominare una Guida senza che questo causi tumulti, negli altri gruppi di potere come nella società».

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