Uliano (Fim Cisl): “Più che cercare i cinesi il governo spinga sugli impianti italiani”

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TORINO — «Non corriamo troppo dietro ai cinesi. Per noi è prioritario affrontare il nodo della crescita della produzione nelle fabbriche Stellantis che già ci sono. Poi si può discutere degli altri costruttori, sempre che l’impatto non sia negativo su ciò che si fa nel nostro Paese». Ferdinando Uliano, 57 anni, domani sarà eletto nuovo segretario Fim-Cisl, raccogliendo il testimone da Roberto Benaglia.

Uliano, Urso continua a dire che se gli incentivi auto non favoriranno la crescita della produzione in Italia dal prossimo anno i soldi andranno a sostenere solo la produzione e l’arrivo di case cinesi in Italia. È una scelta che condividete?

«A parte che vorremmo vedere l’effetto che fanno questi incentivi. Sono stati annunciati più volte e ancora non sono disponibili. Mettere poi in contrapposizione domanda e offerta è un errore che il ministro continua a fare. Non si può sostenere o l’acquisto o la produzione, ma entrambi gli aspetti, in parallelo e per un periodo medio-lungo. Semmai i fondi sono insufficienti per farlo. Lo erano gli 8 miliardi stanziati da Draghi, lo sono i 5,3 miliardi che rimarranno nel 2025».

Quanti ne servirebbero?

«Molti di più. Siamo nel mezzo di una transizione: la differenza di prezzo tra un’auto a benzina e una elettrica è del 40%. Non si può sostenere l’acquisto nel 2024 e poi stop. Il pacchetto incentivi annunciato, che consideriamo positivo, dovrebbe funzionare almeno per quattro anni. Poi ci potrà essere una progressiva riduzione perché la differenza di prezzo si dovrebbe dimezzare nel giro di quattro-cinque anni. Lo stop di colpo provocherebbe uno shock come in Germania: tanti modelli, ma nessuno li compra».

Ferdinando Uliano, neosegretario Fim Cisl

Sulla produzione cosa va fatto?

«Per ritornare a 1 milione di veicoli fatti in Italia bisogna sostenere la crescita della produzione del 30%, aumentando l’efficienza, abbassando i costi energetici, accompagnando la trasformazione dell’indotto, più orientato alla meccanica rispetto al digitale e all’elettronica».

Qual è la priorità?

«Riempire gli stabilimenti italiani di modelli e far arrivare tutte le piattaforme Stellantis: manca ancora la Small. Il 30% in più di produzione lo vogliamo fare nei siti che già ci sono, a partire da Mirafiori, stabilimento che sta soffrendo di più. Prima il governo si concentri su questo e incalzi Stellantis. Anche per questo, insieme agli altri sindacati metalmeccanici, si è deciso uno sciopero di 8 ore il 12 aprile con corteo a Torino».

Avere un secondo produttore, magari cinese, non servirebbe?

«Come priorità prima la saturazione degli stabilimenti che ci sono, poi la ricerca di un produttore. Poi dipende da cosa offre. Se è solo uno stabilimento di assemblaggio con tutti i componenti che vengono da fuori, come già fa la DR oggi, la ricaduta è minima. Se invece viene interessata la filiera e si realizzano batterie l’effetto è differente. Bisogna capire la concretezza dei piani. A noi non risultano progetti reali, abbiamo già visto passare troppi cinesi».

A quali si riferisce?

«La Faw doveva costruire le supercar nella Motor Valley. Mai viste. L’ex ministro Passera aveva trattato con DR e i cinesi di Chery per Termini Imerese. Pure Renzi aveva ipotizzato l’arrivo di cinesi per l’ex stabilimento Fiat. Mai visti. Poi bisogna evitare che l’impatto di chi arriva sia negativo».

Con una fabbrica in più produzione e lavoro salgono….

«Se le attività di un ipotetico secondo costruttore dovessero avere un impatto negativo su quelle di Stellantis si rischierebbe un travaso di produzione, non una crescita, e il traguardo di 1,3 milioni di mezzi rimarrebbe lontano».

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