Inchiesta su Gallo, parla Esposito: “Già vent’anni fa denunciai il suo metodo”

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«Chi ha accettato per anni il “metodo Gallo” ora pensa che si possa risolvere la cosa costringendo il figlio Raffaele a non candidarsi e mettendo fuori dal partito il padre Salvatore. È una schifezza, siamo alla forca in piazza, senza nemmeno dargli la possibilità di difendersi». Stefano Esposito, ex parlamentare dem, quest’anno non ha rinnovato la tessera del Pd «dopo quello che hanno combinato per le regionali in Piemonte». E si definisce, ormai, solo come «un potenziale elettore».

Esposito, lei ha attaccato la corrente Gallo già venti anni fa. Perché questo garantismo oggi?

«Perché non si può essere garantisti solo a parole. Così si dà ragione a Conte, si lascia spazio alla sciacallaggio dei 5 Stelle. Alla famiglia Gallo non ho mai fatto sconti. Ho coniato io la formula “partito delle autostrade” per denunciare i legami e l’uso fatto della Torino-Bardonecchia. Ho letto tutti gli atti giudiziari e non so nel Pd quanti lo abbiano fatto».

E cosa ha trovato?

«La rappresentazione del sistema clientelare politico che ho combattuto. Il problema è che come sempre nelle carte dell’accusa ci sono tante belle suggestioni. Che poi su Salvatore Gallo ci sia qualche cosa di penalmente rilevante io aspetterei a dirlo. E comunque un partito serio gli darebbe il tempo di presentare una memoria difensiva. Lo dico anche perché l’ho vissuto sulla mia pelle e in pochi nel partito hanno chiesto la mia versione rispetto alle vicende che mi sono state contestate dalla procura. Sono più quelli che hanno brindato».

La Dda fa ricorso per mettere Salvatore Gallo agli arresti domiciliari

Cosa contesta a Salvatore Gallo?

«Il suo metodo che, però, è diventato poi il metodo del Pd. Io l’ho sempre contestato, dal 2001, da quando era entrato nei Ds con la corrente socialista. Il primo scontro nel 2006-2007, quando nasce il Pd. Una parte del partito, che comprendeva anche Fassino e Violante, voleva un accordo a livello piemontese per far diventare Gianluca Susta segretario. Volevano costruire il Pd sul modello Margherita, confronto di tessere e correnti, non di piattaforme e candidati. Una parte del partito in Piemonte ha detto no e si è inventata la candidatura di Gianfranco Morgando e abbiamo vinto, facendo le primarie».

Poi cosa è successo?

«Il metodo Gallo si è comunque imposto. Nel Pd prevalgono le correnti e i pacchetti di tessere, nonostante ora le anime belle si indignino. La cosa mi fa vomitare. I segretari si decidono a tavolino, con gli accordi, persino la candidata presidente alla Regione Piemonte, Gianna Pentenero. Il Pd ha individuato il proprio candidato presidente in un sabato mattina in cui ha convocato per finta 300 persone e li ha fatto stare lì mentre quattro maggiorenti locali insieme a due di Roma hanno deciso tutto. Se non è metodo Gallo questo. Un metodo che hanno accettato, applicato e beneficiato. Anche la cosiddetta minoranza».

Tra Bonaccini e Schlein il confronto però c’è stato. Un punto da cui ripartire?

«Le primarie aperte sono l’unico modo per diluire i pacchetti di tessere. Dove c’erano le tessere ha vinto Bonaccini, dove contava il voto popolare si è affermata Schlein. Certo, bisogna adottare dei meccanismi, e ci sono, per evitare che truppe cammellate di altri partiti possano inquinare le consultazioni. A livello locale, però, le primarie si tengono sempre meno».

Dopo il passo indietro di Gallo cosa dovrebbe fare il Pd?

«Chiedere scusa a Mauro Salizzoni e candidarlo capolista, invece di andare dietro ai professionisti dell’antimafia da convegno che non sono mai riusciti a vedere quello che succedeva nella società che gestisce la Torino-Bardonecchia».

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