La cella romena di Filippo Mosca: detenuto fra topi e ruggine. La madre: “Anche il governo italiano abusa della sua vita”

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«Non solo la Romania, anche il governo italiano sta abusando della vita e della persona di mio figlio». Ornella Matraxia, la madre di Filippo Mosca, il ventinovenne nisseno detenuto dal maggio scorso nel carcere di Poarta Alba in Romania fra topi e scarafaggi, non sa più a chi chiedere aiuto. Sperava che l’incontro fra la premier Giorgia Meloni e il suo omologo romeno Marcel Ciolacu potesse essere occasione per discutere della situazione del figlio, o quanto meno di chiedere spiegazioni. Che si sappia, non è mai successo.

Alla fine del bilaterale è stato annunciato un assai vago, futuribile protocollo che permetterà ai condannati in via definitiva di scontare la pena nei rispettivi Paesi. Su Mosca neanche una parola. E la madre sospetta che non sia stata spesa neanche in privato. «Nessuno dal governo mi ha mai contattata. Inizialmente pensavo non fossero a conoscenza della situazione, adesso capisco che si tratta solo di interesse che non c’è. In Gran Bretagna non è così».

A maggio, a margine del SunWaves festival, appuntamento di musica elettronica che attira ragazzi da tutta Europa, in cella sono finiti anche dodici ragazzi inglesi. Anche loro arrestati dopo indagini fin troppo rapide che li hanno bollati come trafficanti, anche loro giudicati in fretta e senza permettere loro di difendersi, alcuni — denunciano le famiglie — «costretti a dichiararsi colpevoli a causa del profondo grado di corruzione del sistema romeno». E insieme a Filippo Mosca costretti a sopravvivere in un carcere sovraffollato e lurido in cui aggressioni e violenza sono pane quotidiano.

Le foto delle celle che i 12 ragazzi detenuti sono riusciti a far filtrare sono agghiaccianti. Il bagno è alla turca, ma il piatto è arrugginito e putrido, lo stesso le mattonelle e i vecchi tubi malfunzionanti che dovrebbero assicurare lo scarico. La zona dei lavandini — solo tre per decine di persone — è un bugigattolo con una colata di cemento al posto del pavimento. Se l’acqua c’è, è la stanza in cui generalmente i detenuti possono provare a lavarsi e mantenere un minimo di decoro — la doccia è consentita solo una volta alla settimana — pulire i vestiti e stenderli, ma è anche l’ambiente in cui si immagazzina tutta la spazzature che viene prodotta. Insetti e topi, soprattutto d’estate, ha raccontato Filippo Mosca alla madre, sono una costante e facilmente passano da quello stanzino alla cella. Una gabbia claustrofobica di meno di 30 metri quadrati che per più di sei mesi Filippo Mosca e gli altri ragazzi inglesi hanno diviso con altre trenta persone. Adesso sono stati spostati, ma in sei sono costretti a divedere uno spazio che non supera i sei metri quadrati.

«Io sto vedendo cosa l’ambasciata inglese sta facendo per i suoi ragazzi detenuti in Romania», dice Ornella Matraxia, che da anni vive a Londra. «E questo è l’ennesimo motivo per cui da qui non me ne andrò mai più. A mio figlio stanno rovinando la vita e l’Italia lo sta permettendo», tuona. Non chiede interferenze né favoritismi: «Quello che sta succedendo a Filippo ha a che fare con i diritti fondamentali. Io mi aspettavo che il governo si indignasse, speravo in un briciolo di attenzione. E invece niente».

Per l’ennesima volta, al figlio sono stati negati i domiciliari. A dispetto della documentazione sanitaria che attesta problemi di salute e dell’impossibilità di fargli avere i farmaci che regolarmente assumeva, i giudici romeni hanno deciso che Mosca dovrà restare in carcere. Ornella Matraxia è spaventata. «È un pessimo segnale per il processo d’appello che inizierà il 7 marzo. Chiedo a tutti di non lasciarci soli in quell’aula». E anche fuori. Per sostenere le spese legali la famiglia ha già dato fondo a tutti i risparmi, per questo ha lanciato una raccolta di fondi pubblica.

«Non ho mai parlato personalmente con il padre di Ilaria Salis — mormora Matraxia — ma gli sono vicina. Entrambi stiamo lottando per i nostri figli». Ed entrambi dall’Italia sono stati lasciati soli.

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