Allarme nei cieli ucraini: ora la Russia riesce a “bucare” lo scudo di Kiev

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L’allarme sulla crisi delle difese ucraine dal terreno adesso si alza fino al cielo. Lo scudo contro le incursioni russe comincia infatti a mostrare troppe falle, perché non viene più rifornito. Se ne parla da giorni ma il bombardamento di ieri lo ha reso drammaticamente concreto: quasi il 60 per cento dei missili russi è riuscito a passare indenne attraverso la contraerea. Stando ai dati diffusi dalle autorità di Kiev, in genere ottimistici, 48 ordigni su 88 hanno colpito il bersaglio. Le batterie hanno fatto strage dei lenti droni Shahed, buttandone giù 55 su 63, ma sono state molto meno efficaci contro le armi più potenti, che hanno devastato soprattutto gli impianti elettrici, insieme a officine belliche e centri logistici.

Le cause dell’indebolimento sono identiche a quelle che si vedono nelle trincee: la fine degli aiuti statunitensi e i progressi di Mosca, sia nei numeri che nella qualità degli armamenti. Il problema più urgente sono le munizioni per la contraerea: le forze di Kiev stanno rimanendo a secco. Se trovare proiettili per l’artiglieria oggi è difficile, reperire altri missili terra-aria per proteggere i cieli è diventata una missione impossibile. I costi sono enormi: gli intercettori dei Patriot hanno prezzi superiori ai due milioni e mezzo di euro ciascuno, che raddoppiano nelle versioni più sofisticate. I tempi di produzione sono lenti: dalla firma dei contratti alla consegna ci vogliono almeno due anni. E le richieste ormai sono schizzate alle stelle. Il conflitto in Medio Oriente e i venti di guerra che soffiano sull’Europa hanno spinto tutti gli Stati maggiori a ordinare questi sistemi, considerati prioritari per la sicurezza nazionale. Nel Mar Rosso la sfida delle marine occidentali contro gli Houti sta consumando una quantità di missili anti-aerei senza precedenti.

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Un singolo cacciatorpediniere dell’Us Navy da ottobre ne ha lanciati duecento; il “Diamond” britannico ha esaurito tutti i cinquanta a bordo; la fregata francese “Languedoc” ha dovuto fare sosta a Gibuti per riempire l’arsenale quasi vuoto. Oggi le scorte disponibili nei Paesi dell’Ue, chiamati a supplire alla defezione statunitense sul fronte ucraino, sono veramente scarse: negli ultimi vent’anni nessuno minacciava i cieli del Continente e questi carissimi apparati, inutili nelle spedizioni contro le guerriglie jihadiste, sono stati dimenticati.

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Esemplare il caso dell’Italia, rimasta soltanto con cinque batterie Samp-T per proteggere l’intera nazione. Dopo l’invasione dell’Ucraina c’è stata la corsa a chiederne altri: “C’è un senso d’urgenza, il fattore tempo è diventato fondamentale e in certi casi conta quanto la competitività sui prezzi”, ha sottolineato ieri Giovanni Soccodato, amministratore delegato per l’Italia del gruppo europeo Mdba, che realizza gli Aster per i Samp-T di Odessa e per molte delle navi impegnate nel Mar Rosso. Dal 2021 le commesse di Mdba Italia sono quadruplicate, passando lo scorso anno a 2.381 milioni, ma i piani per ampliare le linee di montaggio devono seguire le solite procedure burocratiche d’autorizzazione da parte di una pletora di enti e nessuno può prevedere quando entreranno in funzione. Non si tratta di un’eccezione: tutta l’Unione è nelle stesse condizioni, con la produzione rimasta ai sonnolenti ritmi di pace.

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Questa situazione spinge generali e ministri a tenersi strette le riserve, limitando le donazioni a Kiev. Italia e Spagna continuano a cedere solo vecchi ordigni Aspide destinati alla rottamazione. La Germania invece ha mandato due moderni sistemi Patriot e sta completando la costruzione di sei Iris-T per l’Ucraina ma ora fatica a stare dietro alle richieste di munizioni: un anno fa è stato firmato l’ordine per mille nuovi missili, con una spesa di 5,5 miliardi, ma ci vorranno molti mesi prima che siano pronti. E non ci sono più ricambi per gli apparati di origine sovietica, spina dorsale dello schermo ucraino, che ora si cerca di adattare a lanciare intercettori della Nato: li chiamano “sistemi Frankenstein”. La manutenzione di radar e rampe di tanti modelli diversi è un incubo: ogni guasto significa rinunciare per mesi alla postazione. Ed ecco che i raid russi trovano sempre più varchi.

Il Cremlino ha imposto un’economia di guerra, che violando l’embargo riesce ad assemblare masse crescenti di ordigni sofisticati. I cruise che hanno distrutto la centrale idroelettrica sul Dnipro sono stati filmati mentre nella fase terminale del volo sganciano tanti piccoli fuochi: sono inganni termici, che deviano le testate degli Stinger portatili usati dagli ucraini. E ieri i comandanti di Mosca hanno sincronizzato l’attacco, con armi meno moderne che hanno aperto la strada a quelle ipersoniche in modo da aumentare le chance di arrivare a segno. Tanti segnali di una primavera terribile sul fronte orientale.

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