Conte ai fedelissimi: “Non è detto che sciogliere Bari per mafia sia illegittimo”. E fa saltare l’alleanza per le Europee

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ROMA — «Non è detto che lo scioglimento del Comune di Bari sia così illegittimo…». Di prima mattina, Giuseppe Conte sonda lo stato maggiore del M5S. E questa frase, ripetuta dal capo dei 5 Stelle in un giro di telefonate coi capigruppo e i suoi 4 vice nel partito, fa capire perché l’ex premier abbia deciso di far saltare per aria il campo largo proprio a Bari. Che il leader del Movimento cercasse uno spunto per sganciarsi dal Pd in vista delle Europee era iper annunciato: mancano due mesi al voto per Bruxelles, dove ognuno corre per sé, e una fetta importante dell’elettorato post-grillino l’asse giallorosso lo mal sopporta. Ma perché strappare proprio in Puglia? Intorno all’ex presidente del Consiglio spiegano che c’è una «questione morale», che è un «valore fondante del Movimento». E che a Bari stanno venendo a galla troppi fattacci.

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Dall’altro lato della contesa, fra le truppe parlamentari dei democratici, sospettano invece che l’avvocato di Volturara abbia capito che l’occasione era troppo ghiotta: «Conte si è scelto il campo di gioco per la rottura, Bari — si sfoga un big del Nazareno — perché così poteva ritirare fuori la Piovra di Alessandro Di Battista», quel disegnino, che risale ai tempi di Matteo Renzi, in cui il Pd veniva caricaturizzato come un mostruoso polpo, con ogni tentacolo avviluppato a una bega giudiziaria locale.

Conte non ha alcun interesse a evitare di politicizzare il caso. Anche perché nei sondaggi la distanza col Pd oscilla dai 2 ai 4 punti. E lui spera sempre nel sorpasso. Ecco perché, sollecitato dai suoi, in privato ha già fatto capire che i 5 Stelle non si straccerebbero le vesti se l’amministrazione comunale di Antonio Decaro — che il Pd, con Elly Schlein in testa, difende a spada tratta «dall’assalto sgangherato della destra» — finisse commissariata, come vogliono i colonnelli di FdI che da un mese bussano al Viminale.

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I rapporti, anche personali, tra Conte e Schlein da 48 ore sono ai minimi termini. Ieri i due si mostravano reciprocamente offesi, entrambi convinti di avere subito un torto. Lei, perché certa di avere sgamato la trappola dei 5S su Bari. Lui perché accusato dalla leader dem di scorrettezze. Le schermaglie politiche sono diventate anche una guerriglia comunicativa. Il Nazareno — e la stessa Schlein, coi fedelissimi — ha sostenuto che il capo dei 5S abbia rotto senza nemmeno avvisare, con una telefonata di 5 minuti prima del comizio dell’altro ieri in cui ha affossato le primarie. Conte invece descrive una telefonata lunga, «mezz’ora», e si sente ingiuriato perché la leader lo avrebbe tacciato di «slealtà». Un’accusa (che Schlein ufficialmente non ha mai pronunciato) a cui Conte ha risposto piccato, chiedendo scuse pubbliche per una sortita «irrispettosa». Senza ricordare, però, di avere rifilato agli alleati, in questi mesi, carinerie così: siete bellicisti, un partito di potere. Ma soprattutto l’ex premier fa capire che senza una ritrattazione di Schlein ci saranno ripercussioni nell’alleanza. Dove? Alle amministrative. A Firenze, che vota a giugno. E soprattutto in Emilia Romagna, chiamata alle urne il prossimo autunno, se come pare Stefano Bonaccini andrà a Bruxelles. La mancata alleanza potrebbe far scricchiolare la regione-simbolo dei dem. E anche la leadership di Schlein, che lì è cresciuta politicamente. «Ma già a giugno, prima delle Regionali, si vota a Cesena e Modena», ragiona minaccioso un alto dirigente 5S.

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Schlein comunque ha deciso di non porgere l’altra guancia. Anzi, ha scelto di alzare i toni. Ieri con Conte è stata per la prima volta ruvida, dopo una giornata di seccature, stemperata solo dalle battute di Claudio Amendola, incrociato per caso in hotel. Soprattutto ha deciso di andare a Bari, anche se un pezzo di partito le aveva consigliato di tenersi alla larga da Emiliano, pur confinato al retropalco: «Elly, hai sempre attaccato i cacicchi, perché esporti così?». Ma la leader non ha voluto, in alcun modo, dare l’idea di una fuga. Ha scelto di metterci la faccia per difendere la sua comunità. Anche perché Bari, con Firenze, è la città che a giugno non può perdere. Dunque ufficialmente sostiene il candidato dem Vito Leccese, ma al telefono non avrebbe chiuso all’idea di un terzo nome, come le hanno suggerito Goffredo Bettini e Andrea Orlando.

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Certo, nel Pd il pasticcio pugliese agita le acque anche internamente. Se per le disastrose trattative in Basilicata la colpa era finita tutta sul conto dei quasi omonimi Igor Taruffi e Davide Baruffi — il responsabile Organizzazione e quello degli Enti Locali, che Paola Taverna, controparte contiana, all’inizio, rispondendo al telefono, credeva fossero la stessa persona — stavolta gli sbuffi di insofferenza sono rivolti al capogruppo al Senato, Francesco Boccia. È il dirigente dem considerato più vicino a Conte, ma ora è accusato di non avere evitato il patatrac del campo largo. Ma se davvero è una strategia, quella dei 5S, forse nessuno ci sarebbe riuscito

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