Super Tuesday, tutto quello che c’è da sapere sul giorno più importante delle primarie americane

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Che cos’è il Super Tuesday

Il “super martedì” è il giorno più importante – e impegnativo – della lunga stagione delle primarie americane che servono a scegliere il candidato dei due principali partiti, il democratico e il repubblicano, che poi affronterà la gara per la presidenza. L’aggettivo “super” sta ad indicare il fatto che si vota in contemporanea in ben 15 stati e dunque si assegna il più alto numero di delegati essenziali per ratificare la scelta del candidato (il 30% dei delegati Dem e il 36% dei Rep, ben 865) e infatti solitamente è la giornata in cui più chiaramente emerge il nome del “frontrunner” (non è sempre vero: nel 2008 si votò contemporaneamente in 23 stati e la sfida fra Barack Obama e Hillary Clinton finì in un sostanziale pareggio).

Un’opportunità più che una regola, iniziata negli anni Ottanta per contrastare il peso politico del minuscolo Iowa: lo stato del Midwest chiamato al voto prima di quelli ben più grandi e popolosi del sud, che fino ad allora aveva di fatto un impatto sproporzionato sui risultati. Nel 2004 si ebbe un “Mini Tuesday”: si votò solo in cinque stati.

I modelli di voto

Quest’anno i meccanismi elettorali sono diversi per i due partiti. Per i Democratici, in tutti gli Stati e in tutti gli Stati Uniti, il numero dei delegati ottenuti sarà proporzionale al numero dei voti ricevuti. In molti stati repubblicani si è invece optato per il più facile “vincitore prende tutto”: il candidato con il maggior numero di preferenze ottiene tutti i delegati in gioco. Questo modello si applicherà a tutte le primarie e caucus dal 15 marzo in poi; per le primarie precedenti quella data, compreso l’odierno Super Tuesday, ciascuno ha invece le sue regole. Già oggi, comunque, nella maggior parte delle competizioni repubblicane, vige il principio del premio di maggioranza. Chi la ottiene brucia le possibilità di chi si piazza secondo, magari anche con un ottimo risultato.

Dove si vota

Vanno al voto Alabama, Alaska, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont, Virginia e Samoa americane. In Alaska si tengono però le sole primarie repubblicane, nelle Samoa solo quelle democratiche.

Occhi puntati sugli elettori della Carolina del Nord

L’unico “swing state” al voto oggi, stato in bilico che potrebbe diventare scenario di accesa battaglia presidenziale a novembre, è la Carolina del Nord. Gli analisti osserveranno dunque come si esprimeranno i diversi gruppi demografici di quello stato: genere, età, classe sociale, etnia di chi sosterrà Trump, chi Biden e chi eventuali candidati terzi. In rapida crescita quello stato ha un mix di elettori urbani, suburbani e rurali, e molti studenti nelle sue città universitarie. Il resto degli stati sono invece identificabili come saldamente democratici o repubblicani.

Cosa significa il voto di oggi per i principali candidati in gara

I due candidati già dati per favoriti, Joe Biden in campo democratico e Donald Trump per i Repubblicani, non hanno praticamente rivali. La giornata di oggi potrebbe però significare la fine del tentativo dell’ex governatrice della Carolina del Sud e poi ambasciatrice americana all’Onu Nikki Haley di impedire a Donald Trump di assicurarsi la nomination repubblicana. Qualche osservatore già dice che a quel punto lei potrebbe scegliere di presentarsi come indipendente, erodendo il consenso di Trump alle urne, ma questo è tutto da vedere.

La posta in gioco per Haley

La sua sconfitta al Super Tuesday è prevedibile ma la vittoria a sorpresa a Washington Dc (stato minuscolo – 22mila elettori registrati come repubblicani appena) le ha dato comunque nuova energia. Una volta scrutinati i voti dovrà valutare se continuare la sua corsa, ma gli analisti già notano che non ha in programma eventi elettorali dopo l’appuntamento odierno né ha prenotato spazi per spot televisivi. Ha però molti soldi in cassaforte: solo ha febbraio ha raccolto ben 12 milioni, quindi volendo ha le risorse per proseguire. È comunque difficile immaginare che trovi abbastanza sostegno da rallentare effettivamente la presa di Trump sul partito dell’elefante. Va comunque tenuta d’occhio, perché potrebbe essere competitiva in alcuni stati più moderati e questo darebbe senz’altro un’importante indicazione al partito. I sondaggi per lei più favorevoli sono stati realizzati in Vermont e Virginia, dove il distacco da Trump è minore ma comunque di oltre 20 punti percentuali. Trump ha avuto i risultati peggiori nelle periferie delle grandi città e fra le donne. Inoltre, uno stato grande come il Texas, che, certo, non è particolarmente moderato, assegna alcuni delegati in base ai distretti congressualo, il che potrebbe consentirle di assicurarsene almeno alcuni in aree urbane.

Quanto manca a Trump per conquistare la nomination

Non sarà in grado di rivendicare la nomination dopo il Super Tuesday, ma ci si avvicinerà moltissimo. Potrà dichiararsi ufficialmente frontrunner fra una o due settimane al massimo, dopo le primarie che si terranno fra il 12 e il 19 marzo. A quel punto è quasi certo che avrà i 1.215 delegati necessari ad assicurarsela. Che non consideri più Haley una reale minaccia è dimostrato dal fatto che l’ex presidente è sempre più concentrato sugli attacchi a Biden.

L’impatto sulla campagna di Biden

L’attuale inquilino della Casa Bianca ha già ottenuto 206 delegati, ovvero tutti quelli assegnati tranne due. I suoi sfidanti (Dean Phillips e Marianne Williamson che però si è ritirata a febbraio) non hanno mai rappresentato una reale minaccia, né hanno vinto delegati. I due delegati che Biden non ha conquistato sono stati determinati dal voto di protesta alle primarie di martedì scorso nel Michigan, stato col più alto numero di arabi-americani: quando ben 101mila persone hanno scritto sulla scheda “uncommitted”, “senza impegno”: arrabbiati per il suo sostegno alla campagna militare israeliana contro Hamas nonostante l’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza. Un dato certo non clamoroso ma comunque rilevante essendo quello uno stato in bilico. Biden vincerà facilmente il voto di oggi, ma intanto già in altri stati (California, Colorado, North Carolina, Minnesota e Vermont) stanno organizzando proteste sul modello del Michigan. Non ovunque è possibile scegliere la cosiddetta opzione di “disimpegno”, ma le proteste potrebbe concretizzarsi nella scelta dell’altro candidato o in schede bianche. È però possibile in grandi stati come California e Texas. Non a caso, la vicepresidente Kamala Harris (che della California è espressione) è recentemente intervenuta nel dibattito – lasciando il cono d’ombra dove solitamente è relegata – chiedendo vigorosamente un “cessate il fuoco”. Biden ha bisogno del voto giovanile: e questi sono molto sensibili alla questione palestinese.

Grosso guaio in California

Se Trump riuscisse a conquistare la maggioranza degli elettori in California, otterrebbe tutti i 169 delegati, un bottino determinante. Ma lo Stato è sotto osservazione anche perché qui si tengono oggi pure vivaci primarie per il Senato. Si prevede che a novembre lo stato manderà almeno un democratico al Congresso, ma è imprevedibile dire chi, perché in lizza ci sono quattro grandi nomi per due posti vacanti. Il dem Adam Schiff è in testa ai sondaggi seguito dalla dem Katie Porter, che però è testa a testa con il repubblicano Steve Garvey, ex stella del baseball. La deputata Barbara Lee, anch’essa dem, è fanalino di coda. Con il sistema delle primarie aperte, i due più votati oggi si affronteranno nel ballottaggio di novembre, indipendentemente dal partito.

Il peso del Texas

Nel grande stato del Sud sono in palio 161 delegati repubblicani e 272 democratici. Qui a pesare è la questione della lotta all’immigrazione.

Il Colorado dopo la sentenza della Corte Suprema

A 24 ore dal voto, i giudici supremi hanno deciso di consentire a Trump di restare sulle schede elettorali delle primarie pure del cosidetto “Stato della Montagna” da dove era stato estromesso lo scorso 19 dicembre per il suo ruolo nella rivolta del sei gennaio 2021. Per Trump è una vittoria soprattutto simbolica, giacché i delegati repubblicani in palio, qui, sono “appena” 37. La decisione si applica anche a tutti gli altri stati che potevano avere l’intenzione di seguire la linea del Colorado, ma non chiude le questioni legali di Trump, imputato con 91 capi d’accusa in quattro diversi processi. Fra qualche settimana, la Corte Suprema dovrà anche decidere sulla questione di riconoscergli l’immunità giudiziaria nel processo federale in cui è coinvolto con l’accusa di aver cercato di sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali del 2020, perse contro Joe Biden. È molto importante per Trump, perché l’inizio del processo era previsto per marzo: la decisione della Corte Suprema lo ritarderà, lasciando quindi a Trump la possibilità di proseguire indisturbato la campagna elettorale per le primarie dei Repubblicani.

Lunga attesa per i risultati

Il voto di oggi tocca sei fusi orari diversi e potrebbero dunque servire ore e addirittura giorni per determinare i vincitori visto che in alcuni Stati è stato possibile votare per posta e ci vorrà più tempo per contare quelle schede. Ad esempio in California possono essere contante quelle ricevute dagli uffici elettorali fino al 12 marzo. I primi seggi a chiudere saranno quelli della Virginia e del Vermont alle 19 locali, l’una di notte di mercoledì in Italia.

Cosa dicono i sondaggi

Se si esclude un sondaggio di Quinnipiac University fatto a febbraio, che dava l’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden avanti di sei punti su Donald Trump 50 a 44 tra gli americani registrati nelle liste elettorali. Ma altri rilevamenti non sono affatto rassicuranti per i Democratici: quello elaborato da Bloomberg indica che Biden è in svantaggio rispetto a Trump in sette stati in bilico (Arizona, Georgia, Pennsylvania, Michigan, Carolina del Nord, Nevada e Wisconsin) indietro di 5 punti a livello nazionale (48 a 43 a favore di Trump). Un sondaggio del New York Times/Sienna College pubblicato domenica da poi gli indici di gradimento peggiori di sempre per Biden, con il 47 per cento degli elettori che considera “molto negativamente” il suo operato.

Come proseguirà la campagna elettorale

I due candidati si concentreranno maggiormente l’uno sull’altro. Biden continuando a colpire Trump già definito un “pericolo per la democrazia”, per le sue posizioni su’aborto e libertà personali, i Repubblicani attaccando il presidente per la sua età molto avanzata e sul tema immigrazione cui gli elettori sono molto sensibili: secondo un sondaggio è il problema principale per il 20 per cento degli aventi diritto, mentre l’economia lo è per il 14 e l’aborto per l’8.

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