Tassi bassi, guerra, Cina: ecco perché l’oro sta aggiornando i suoi record

Pubblicità
Pubblicità

L’oro non si ferma e continua ad aggiornare record. Nella giornata di martedì ha sfiorato i 2.290 dollari l’oncia, per altro inseguito nella performance dall’argento che si è portato a 26 dollari l’oncia ovvero ai massimi da due anni. Una salita dei prezzi che si è fatta un baffo del contemporaneo apprezzamento del dollaro, che è solitamente un valore che si muove in direzione contraria alla quotazione della materia prima.

I tassi in calo spingono il lingotto

Come mai questa dinamica di apprezzamento così marcata per l’oro, che da inizio anno ha guadagnato l’11% aggiornando in serie i suoi massimi? Le ultime notizie giunte dal fronte di guerra che circonda Gaza hanno alimentato la richiesta – da parte degli investitori – di un asset considerato “sicuro” e di valore di fronte alle incertezze geopolitiche mondiali, che come sempre non piacciono ai mercati finanziari.

Per parlare di questo rally in modo compiuto bisogna però fare un passo indietro e tenere insieme una serie di fattori, che si stanno via via spalleggiando per sostenere il lingotto a picchi mai visti.

In una recente analisi di Xs.com, si ricorda come il primo fattore a tirare le quotazioni dell’oro sia infatti l’attesa per i tagli al costo del denaro, in particolare dalla Federal Reserve americana. In uno scenario di ribasso dei tassi, e quindi dei rendimenti in generale, un bene come l’oro – che per definizione non esprime un rendimento – diventa più appetibile per gli investitori.

I titoli dei “Magnifici 7” trainano la Borsa Usa nell’anno delle Presidenziali

Le tensioni geopolitiche

Eppure l’oro ha mantenuto alti i giri del motore anche nelle ultime sedute, quando – sulla scorta delle ennesime prove di forza dell’economia americana – i trader hanno ridimensionato le loro scommesse sulle prospettive di riduzione del costo del denaro. Si prevedono sempre tre tagli durante il 2024, ma qualcuno inizia a sospettare che a giugno la Fed possa ancora rimanere attendista e comunque non si va oltre i 65 punti base di riduzione del costo del denaro preventivati per l’intero anno.

Ecco dunque che le tensioni geopolitiche, che si sono alimentate ulteriormente per il coinvolgimento diretto dell’Iran nello scacchiere mediorientale, hanno dato nuova benzina ai prezzi. L’attacco israeliano all’ambasciata iraniana in Siria ha acceso il timore che il conflitto si allarghi, portando di nuovo incertezza sui mercati e quindi la voglia di “bene rifugio” per proteggersi dalla volatilità e dal possibile deprezzamento della valuta.

Chi sono i pasdaran iraniani: quelle 200mila Guardie della Rivoluzione cruciali per il regime in patria e all’estero

Le vendite allo scoperto da chiudere

Non è tutto. Secondo Suki Cooper, analista di Standard Chartered che ha parlato con la Bloomberg, potrebbero esser scattato negli ultimi giorni anche un fenomeno tipicamente finanziario: l’esigenza di ricopertura di posizioni corte (ovvero scommesse al ribasso sull’andamento dell’oro) potrebbe avere alimentato la corsa dei prezzi. In sostanza, chi si è posizionato per un calo dei prezzi è costretto a chiudere la sua scommessa (in perdita) nel momento in cui il calo non si materializza, alimentando suo malgrado la salita. Secondo lo specialista però questo è anche un fattore che preannuncia volatilità per le quotazioni dell’oro. Incertezza alimentata anche dal fatto che l’oro detenuto dagli Etf, strumenti finanziari che acquistano il sottostante, è recentemente diminuito.

Il ruolo della Cina e le scommesse delle Banche d’affari

A supporto delle quotazioni in rialzo c’è da considerare un ultimo fattore che ha condizionato gli ultimi mesi: l’attivismo sul mercato del lingotto della Cina. La Banca centrale di Pechino ha aumentato le sue riserve aurifere in ciascuno dei 16 mesi passati, calcola l’agenzia finanziaria, e anche i giovani risparmiatori/investitori cinesi si sono buttati in questo mercato, considerando la stagione nera della Borsa locale. Importanti banche d’affari tifano per l’oro: per JP Morgan è la miglior commodity su cui puntare (potrebbe arrivare a 2.500 dollari, per la banca) e Goldman Sachs lo vede a 3.200 dollari.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *