Attentato a Mosca, gli Usa: “Abbiamo avvertito il 7 marzo su possibili attacchi”

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New York – La Casa Bianca smentisce qualsiasi coinvolgimento americano nell’attentato di Mosca ed esclude la partecipazione di ucraini, come peraltro confermato dalla rivendicazione dell’Isis, anche per non dare a Putin la scusa di usare il tragico attacco per lanciare risposte ingiustificate. Solo due settimane fa l’ambasciata degli Stati Uniti in Russia aveva dato l’allarme per potenziali aggressioni come quella avvenuta, e il New York Times rivela che l’allerta era legata proprio a minacce di terroristi islamici.

L’avvertimento il 7 marzo

Il portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, ha definito “orribili” le immagini dell’attentato, aggiungendo che i nostri pensieri sono per le vittime”. Dopo il rammarico e le condoglianze, però, si è passati alle analisi. Il 7 marzo scorso la rappresentanza americana a Mosca aveva lanciato questo allarme: “L’ambasciata sta monitorando le notizie secondo cui alcuni estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca, includendo concerti, e i cittadini statunitensi dovrebbero essere avvisati di evitare grandi raduni nelle prossime 48 ore”. Putin aveva criticato l’allerta come “un chiaro tentativo di ricatto, per intimidire e destabilizzare la nostra società”, ma alla luce di quanto è successo sembra che i servizi di intelligence Usa sapessero esattamente cosa stesse per accadere, anche se i tempi erano sbagliati.

Ieri Kirby si è affrettato a smentire ogni speculazione. Non ha rivelato il dettaglio delle informazioni che avevano spinto i diplomatici a pubblicare quella nota di avvertimento, ma ha escluso che Washington sapesse con esattezza cose stesse accadendo o fosse in alcun modo coinvolta.

Ucraina, scagionata

Nello stesso tempo, il portavoce della Casa Bianca ha subito sottolineato che “al momento non ci sono indicazioni che l’Ucraina, o cittadini ucraini, siano stati coinvolti nella sparatoria”. Rivolgendosi ai giornalisti che lo chiedevano, ha aggiunto: “Vi scoraggio dal fare qualsiasi connessione con l’Ucraina, in queste ore immediatamente successive all’attacco”. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakarova, ha messo in discussione queste affermazioni, chiedendo come Washington possa esserne così sicura. Va però ricordato come lei fosse la stessa persona che smentiva in maniera categorica l’imminente invasione di Kiev, mentre i carri armati si preparavano già a varcare il confine. La rivendicazione dell’Isis confermerebbe invece la versione di Washington.

Kirby ha anche invitato a non fare collegamenti con l’opposizione interna: “Ci sono molti russi che non condividono la guerra e la politica di Putin, ma sarebbe imprudente mettere in correlazione le due cose, perché al momento non ci sono elementi che lo confermino”. Se le cose stavano così, restavano aperte soprattutto due piste: quella degli estremisti islamici, che già in passato avevano colpito in Russia e nella sua capitale; oppure la “false flag operation”, ossia un’azione organizzata da qualcuno all’interno dello stesso regime, per poi giustificare reazioni che magari potrebbero includere l’uso di armi mai viste finora nel teatro ucraino, come le atomiche tattiche minacciate in più occasioni da personaggi tipo l’ex presidente Medvedev. L’Isis conferma ora la prima pista, ma gli Usa vogliono comunque evitare che Putin sfrutti l’attentato per altri fini.

Il portavoce della Casa Bianca ha poi risposto all’articolo del Financial Times in cui si rivela che Washington avrebbe chiesto agli ucraini di non colpire le raffinerie di petrolio russe, per evitare un’impennata nei prezzi globali del petrolio: “Non commento quella notizia in particolare, ma noi non incoraggiamo l’Ucraina a colpire internamente la Russia né la aiutiamo a farlo”.

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