Monito di Mattarella sulla libertà di stampa, Azzariti: “Il governo ascolti il Colle, basta insofferenza verso le critiche”

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Professor Gaetano Azzariti ha letto Mattarella sulla libertà di stampa? Qual è la sua impressione?

«Mi è parso un discorso preoccupato che difende la stampa come baluardo della democrazia. Ma il suo allarme riguarda anche i rapporti tra poteri e gli equilibri che devono essere rispettati in uno stato democratico».

Il presidente parla di stampa “indispensabile” per la nostra democrazia. Sicuramente la vede in pericolo.

«Non sono parole pronunciate a caso. E mi sembra evidente che la difesa di un compito così importante deve essere pronunciata, in modo così netto, in un momento di grave crisi come quello che stiamo attraversando. E i fatti lo dimostrano».

Vede qualche episodio recente che può giustificare un’uscita così forte come quella di ieri?

«Repubblica dovrebbe saperlo bene: proprio lei è stata oggetto di ripetute critiche, e anche di continue delegittimazioni, perché esercita il suo diritto di fare cronaca e di raccontare i fatti. Ed esprimere anche legittime opinioni, corollario indispensabile delle notizie».

Giusto quello che non sopporta la premier Meloni.

«Nella libertà di stampa è inclusa la libertà di critica. La sua funzione fondamentale è che controlli il potere, mentre questo governo vorrebbe rovesciare il principio, controllando la stampa. Tant’è che di continuo dimostra una grande insofferenza verso sia la cronaca dei fatti, sia le opinioni che la accompagnano. Soprattutto quando fatti e opinioni sono sgraditi al governo».

Si riferisce ai servizi sui ragazzi picchiati a Pisa e a Firenze che hanno portato Mattarella a richiamare all’ordine il ministro Piantedosi?

«In questo caso l’insofferenza ha colpito in prima battuta la stampa e poi incredibilmente ha portato il governo perfino a scontrarsi con il capo dello Stato. Mostrando un’assoluta arroganza verso il Quirinale».

Per la verità tra i meloniani sono in uso le veline per stabilire la linea da tenere sui fatti. E questo dovrebbe apparire orribile al presidente.

«Ma certo, con questo metodo si producono verità precostituite, che tendono perfino a limitare la libertà e la responsabilità politica dei singoli parlamentari, i quali dovrebbero essere invece liberi di parlare e di valutare in autonomia i fatti».

Mattarella spiega di non essere un sovrano, quindi “promulga una legge, non la fa propria, non la condivide, fa semplicemente il suo dovere”. C’è una legge a cui si riferisce?

«Il capo dello Stato fa un’affermazione sacrosanta, che da costituzionalista sottoscrivo, perché ricorda a tutti noi che il presidente della Repubblica italiana è un garante, e non un potere governante. È evidente che esprime un disagio rispetto a leggi che ha dovuto promulgare e su cui aveva forti perplessità».

Per esempio quella sul bavaglio alla stampa di Costa inserita nella legge di Delegazione europea che ha appena firmato?

«Certo, quelle poche righe di emendamento presentate dal responsabile Giustizia di Azione rappresentano un grande pasticcio e sollevano a me, da costituzionalista, forti perplessità. Ma non posso farmi interprete del pensiero che lo stesso presidente non ha giustamente espresso».

Al Senato si è ricominciato a parlare della diffamazione. Prevedendo multe salatissime. Quello di Mattarella è un’allerta sul rischio di limitare la libertà di stampa?

«Questo governo pensa che aggravando le pene si risolve tutto, e non faccio qui di nuovo l’elenco delle sanzioni aumentate all’inverosimile da un ministro che si proclama garantista. Adesso questa logica viene usata contro la libertà di stampa».

Dopo quest’uscita pensa che su Mattarella si scateneranno i fulmini della Meloni?

«Non posso escluderlo, ma sarebbe auspicabile una reazione del tutto opposta: il governo dovrebbe ascoltare con assoluta attenzione i continui messaggi mandati da Mattarella con garbo istituzionale encomiabile a fronte della sordità di Meloni e dei suoi, i quali invece, se va bene fanno orecchie da mercante, e se va male cercano di ridimensionare i poteri del capo dello Stato».

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