I rischi del potere centralizzato

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Il ministro Raffele Fitto sul Pnrr sta giocando un ruolo di centralizzazione, dopo aver creato una mega struttura di missione a Palazzo Chigi, impossessandosi di poteri di controllo che sono stati sottratti ad altri ministeri e pure alla Corte dei Conti. Tanto che i magistrati contabili gli hanno contestato pochi giorni fa che questo potere ispettivo “non appare coerente con i compiti di mero coordinamento attribuiti dall’articolo 95 della Costituzione alla presidenza del Consiglio dei ministri, presso la quale la predetta Struttura è allocata”. Un atto della centralizzazione del Pnrr che la premier Giorgia Meloni ha perseguito fin dall’insediamento, sottraendo gli strumenti al ministero dell’Economia, il cui responsabile, Giancarlo Giorgetti, non ha fiatato.

Fitto vuole gestire la fase dell’avanzamento dei lavori, ma così come è stata strutturata sembra che faccia fatica a funzionare.

La Ragioneria del Mef lo scorso gennaio aveva lanciato un allarme sulla lentezza degli accertamenti dei lavori e sui controlli sulle truffe e le frodi ai potenziali conflitti di interessi. Aveva lanciato un segnale di allarme. E quindi il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Pnrr ha ricordato che esiste un comitato anti frode. Forse anche per questo motivo che la portavoce della Commissione Ue Lea Zuber interpellata nel briefing con la stampa sulla maxifrode scoperta dagli investigatori veneti e dai magistrati della procura europea, ha ricordato come «il Pnrr contiene un quadro di controllo molto solido che si basa sui sistemi di controllo nazionali degli Stati membri», che «devono garantire un’efficace prevenzione e individuazione di corruzione e frodi». I piani presentati includono «anche questo sistema di controllo e la Commissione ha valutato che forniscono effettivamente garanzie sufficienti». Insomma, tocca ai Paesi membri. E Fitto per mettere a posto le carte si è limitato ad allargare questo comitato inserendo altre figure che in passato non erano presenti. Nulla di tutto ciò però evita le infiltrazioni e le truffe e non velocizza le pratiche o il controllo capillare dei progetti finanziati. L’accentramento a Palazzo Chigi crea una sorta di imbuto, che provoca ingolfamento, con la conseguente reazione di Regioni e Comuni che criticano questa scelta. Così si rischia di disperdere l’opportunità di crescita che è stata data all’Italia con il Piano. Non si può non notare che ancora una volta la Corte dei conti ha dovuto mettere in evidenzia che questo accentramento rischia di ledere i diritti e i poteri delle autonomie locali e dei soggetti attuatori dei progetti. E qui si apre un nuovo scontro tra Fitto e la Corte sui tagli alla sanità e agli investimenti delle regioni evidenziati dai magistrati contabili, portando alcuni governatori ad attaccare il governo. Il ministro “irritato” ha risposto punto su punto, provando a sostenere che sulla sanità non ha fatto marcia indietro, spiegando le cifre evidenziate dalla Corte, ma i numeri non si possono modificare. E così dopo che il governo Meloni ha spuntato alcuni poteri alla Corte dei conti, adesso si vuole prorogare lo scudo erariale, ovvero l’esclusione della perseguibilità delle condotte commissive gravemente colpose.

Se ci fossero controlli più efficienti nella fase dell’erogazione dei finanziamenti per i progetti del Pnrr ai privati, oggi ci sarebbero meno truffe milionarie alla Ue che i magistrati della procura europea stanno accertando.

La falla sta proprio nei controlli ex post.

L’Italia ha ricevuto fino adesso 101 miliardi su circa 194 che deve impiegare, e quindi spendere entro il 30 giugno 2026. Fino allo scorso dicembre della somma ricevuta ne sono stati spesi circa 45 miliardi che in gran parte sono andati per il Superbonus e per gli sgravi fiscali alle imprese. Si tratta di spese automatiche che non hanno implicato grandi progetti.

Questa stagione del Pnrr renderà evidente a tutti che la sorte delle attività economiche non dipende soltanto dal modo in cui operano i soggetti d’impresa, ma la sorte delle attività economiche dipende anche dal modo in cui operano le istituzioni. È stato un economista, il premio Nobel Douglass North, a dire che il cambiamento istituzionale influenza l’evoluzione dei processi sociali ed è la chiave per comprenderli. È una consapevolezza dalla quale nasce la responsabilità di tutte le istituzioni, che va dalla politica alla magistratura.

Non solo, c’è anche il nuovo Codice degli appalti approvato lo scorso anno e voluto dal ministro Matteo Salvini che limitava in maniera indebita la concorrenza. Nel mirino di Bruxelles era finita la decisione di alzare la soglia dell’affidamento diretto o negoziato, cioè senza gara, fino a lavori da cinque milioni di euro. Una soglia così alta da comprendere la grande maggioranza delle gare pubbliche bandite in Italia. Su questo punto la Commissione si è impuntata e il negoziato con il ministro Raffaele Fitto si è sbloccato solo dopo l’impegno italiano, già anticipato in una ambigua circolare del ministero delle Infrastrutture, di correggere la norma: le amministrazioni potranno ricorrere a procedure aperte e competitive anche per le gare sotto i cinque milioni. Non solo: la Commissione ha respinto anche l’ipotesi italiana di “ammorbidire” gli obiettivi di riduzione dei tempi di completamento dei lavori, che viene solamente spostato in avanti.

È bene ribadire che il Pnrr è un piano di spesa parcellizzato, che racchiude migliaia di progetti, territorialmente diffuso, e questa frammentazione è complicata controllarla con una piccola struttura concentrata a Palazzo Chigi che ogni giorno deve spendere i finanziamenti ricevuti ma evitare le truffe e le frodi. Vista da qui è una missione impossibile, che può essere — se non si sta attenti — un vantaggio al malaffare che approfitta dell’ingolfamento per infiltrarsi e succhiare milioni di euro di soldi pubblici. Un vantaggio per i criminali.

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