8 marzo, le donne tra gap salariale e di carriera

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Strette tra le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia e a rompere il soffitto di cristallo. Spesso costrette ad un posto part time, in molti casi ancora con pochi spazi ai vertici di imprese e società, con redditi più bassi – ancor di più per le madri – degli uomini che, poi, si riflettono su pensioni più basse: la ripresa occupazionale per le donne, più penalizzate anche dalla pandemia, stenta a decollare così come il divario salariale, seppur ridotto negli ultimi anni, resta un fattore di disuguaglianza, come emerge dai dati e dalle analisi alla vigilia dell’8 marzo. Un segnale di inversione arriva dai profili più qualificati: con l’aumento delle assunzioni di laureate e specializzate.

Da quest’anno, parte intanto la nuova legge sulla parità salariale che introduce la certificazione della parità di genere nelle imprese e la possibilità di usufruire di uno sgravio contributivo dell’1% nel limite di 50 mila euro annui (la dotazione complessiva è di 50 milioni).

Il gap salariale si assottiglia, ma resta ancora della strada da fare. La differenza tra la retribuzione oraria lorda media di uomini e donne si è ridotta in Europa nel 2020 arrivando al 13% (dal 13,7% del 2019 e contro il 16,4% del 2012), rileva l’Eurostat per quanto riguarda le imprese con 10 o più dipendenti. E in Italia il divario arriva al 4,2%, tra i più bassi del continente e in calo rispetto al 4,7% del 2019 (contro il 6,5% del 2012). Ma il problema principale per le donne nel nostro Paese rimane la differenza nel tasso di occupazione, che si aggira intorno al 50% (contro il 68% degli uomini). Tasso che scende per le madri. Nel 2020, sempre secondo l’Eurostat, le mamme tra i 25 e i 54 anni in Italia risultavano avere il livello più basso di occupazione in Ue, inferiore al 60% a fronte del 72% medio nei paesi Ue (e del 77% per le donne senza figli). Per le madri anche la busta paga è più leggera. Una donna con un figlio guadagna meno di una lavoratrice senza figli: a 15 anni dalla maternità il salario lordo annuo è più basso di 5.700 euro, sottolinea il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, evidenziando in generale che “le disuguaglianze salariali si trasformano in disuguaglianze pensionistiche”. Le pensioni delle donne risultano in media più basse del 27% rispetto a quelle degli uomini: l’assegno medio, indica, è infatti di 1.352 euro contro 1.863 euro al mese.

Uno scenario nuovo sembra aprirsi con le generazioni più specializzate: complice l’aumento della domanda di specifiche figure, nel 2021 le assunzioni di donne sono state caratterizzate da una crescita sia delle laureate (+8,3%), sia delle professioni intellettuali e ad elevata specializzazione (+23%) e di quelle tecniche (+1%), evidenzia la Fondazione studi dei consulenti del lavoro. Anche se le donne sono quelle che più hanno pagato la crisi pandemica: in 13 anni, dal 2008 al 2021, il tasso di occupazione femminile è cresciuto in Italia soltanto di 2,6 punti percentuali (dal 47,3% al 49,9% al terzo trimestre), dice la Fondazione Di Vittorio della Cgil. Per loro resta maggiore il ricorso ai contratti a termine o part time, spesso involontario, motivo per cui le carriere sono discontinue e meno retribuite.

Raggiungere i vertici resta non facile. Nel settore bancario la presenza di donne è alta ma altrettanto alta risulta la disparità nei ruoli e nei salari: composto per il 46,9% da donne, solo lo 0,8% ha incarichi dirigenziali, il 31,5% ha il ruolo di quadro direttivo e il 67,7% di impiegate, evidenzia l’analisi del Centro studi Uilca Orietta Guerra. Stessa conclusione dall’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere-InfoCamere: la presenza femminile si riduce verso i vertici delle imprese, dove solo un incarico su quattro è ricoperto da donne. 

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