La Spagna è stata la prima a muoversi contro la crisi e a chiedere alle banche e alle utilities di fare la loro parte introducendo una tassa sugli extra profitti. A febbraio è stata pagata la prima tranche e le grandi banche spagnole hanno finora pagato 637,1 milioni di euro (complessivamente il Governo di Sanchez ha raccolto 1,45 miliardi di euro). Il ministero delle Finanze spagnolo ha previsto che l’incasso annuale delle due imposte temporanee (applicabili nel 2023 e 2024) supererà i 2,9 miliardi di euro, tassando rispettivamente il margine di intermediazione e il reddito da attività non regolamentate in Spagna.
Anche nel Regno Unito l’ipotesi di una tassa sugli extra profitti è allo studio dopo che le banche sono state accusate di “affarismo” e lo scorso mese, il regolatore finanziario ha chiesto alle banche di accelerare gli sforzi per migliorare l’accesso alle loro migliori tariffe di risparmio. In Spagna è stata introdotta per finanziare i contributi statali a famiglie e imprese sollevando un polverone, con alcuni istituti, Bankinter e Abanca che avevano minacciato di ricorrere alla Corte Costituzionale. Al Banco Santander la prima tranche è costata quasi il 10% dei profitti del primo trimestre. “Siamo sempre felici di pagare la nostra giusta quota di tasse, ma devono essere applicate a tutti i settori, non solo alle banche” aveva dichiarato al FT il chief financial officer José Garcia Cantera commentando il provvedimento del governo spagnolo a guida socialista che ha imposto per due anni un’imposta del 4,8% sul reddito delle banche da interessi e commissioni, sostenendo che l’aumento dei tassi di interesse aveva portato a profitti “straordinari” per il settore.
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