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Pensioni: al via cantiere della riforma, più flessibilità

Si apre il cantiere della riforma previdenziale con l’obiettivo di arrivare a un sistema più flessibile ed equo già entro l’estate: oggi la ministra del Lavoro, Marina Calderone, incontrerà i rappresentanti della parti sociali nella sede del ministero del Lavoro di via Flavia ed è probabile che si faccia un calendario del confronto suddividendo, come è già accaduto negli anni scorsi con i governi Conte e Draghi, gli argomenti in singoli tavoli per una discussione più approfondita. Cgil, Cisl e Uil si presenteranno con le richieste già avanzate di una flessibilità in uscita a partire dai 62 anni senza penalizzazioni esplicite (oltre quella implicita che si ha versando meno contributi e prendendo l’assegno per più tempo), di una attenzione verso i giovani con una pensione di garanzia e l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età. Ma è probabile che si debba lavorare su interventi che costino poco per cui è probabile che si proponga una misura di flessibilità che penalizzi le uscite anticipate rispetto all’età di vecchiaia. E’ sul tappeto comunque la riduzione del limite di 2,8 volte la pensione minima per l’uscita anticipata rispetto all’età di vecchiaia (ora valida solo per tre anni di anticipo per chi è nel sistema contributivo). Si parlerà probabilmente anche della separazione tra previdenza e assistenza.

Ieri durante la presentazione del Decimo Rapporto di Itinerari previdenziali il presidente, Alberto Brambilla, ha sottolineato che l’assistenza costa oltre 144 miliardi e che questa spesa è sostanzialmente raddoppiata dal 2008 senza che si sia ridotta la povertà (che è aumentata soprattutto nelle età non anziane). Ma soprattutto ha affermato che è impraticabile la proposta di Forza Italia di portare le pensioni basse a 1.000 euro al mese perché l’intervento costerebbe 27 miliardi l’anno portando l’Inps in default in pochi anni oltre a dissuadere le persone dalla contribuzione nella convinzione di poter ottenere comunque un’alta pensione sociale. Brambilla che ha ricordato come nel 2021 il welfare (previdenza, assistenza e sanità) in Italia sia costato 517,7 miliardi, oltre il 52% della spesa pubblica, si è detto contrario anche all’aumento delle minime a 600 euro per il 2023 perché poi sarà difficile per la politica tornare indietro. Il Rapporto sottolinea come nel 2021 ci siano circa sette milioni pensionati totalmente o parzialmente assistiti (2,5 milioni coloro che hanno le pensioni integrate al minimo), il 43,48 dei quasi 16,1 milioni di pensionati. “Non sembra rispecchiare – dice Brambilla – le reali condizioni socio-economiche del Paese”. E tra le circa 22,7 milioni di pensioni ce ne sono ancora quasi 400mila che hanno una decorrenza di oltre 42 anni, ovvero sono state erogate quando Reagan non si era ancora insediato alla casa Bianca. E nel parlare di pensioni non si potrà trascurare la questione lavoro, necessario in un sistema a ripartizione (con i contributi versati oggi si pagano le pensioni di oggi) a sostenere il sistema. Il nostro Paese nonostante la crescita dell’occupazione dopo il Covid resta fanalino di coda in Europa. Ma oltre al basso tasso di occupazione c’è un tema di qualità del lavoro come risulta anche da un’indagine pubblicata dall’Inapp secondo la quale l’Italia è promossa a metà con un buon risultato per le aziende del Centro Nord e un dato meno positivo per il Sud e le Isole a partire dalla sicurezza del lavoro e la flessibilità dell’orario.



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