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Ucraina: Fabiani, se continua la guerra finisce l’azienda

(ANSA) – FERMO, 04 MAR – “Se la guerra tra Russia e Ucraina dovesse andare avanti ancora per due, tre settimane, per la mia azienda sarà la fine. Già così non sarò in grado di pagare gli stipendi di marzo, il governo ci aiuti”: a dirlo all’ANSA è Marino Fabiani, da 42 anni uno dei più importanti imprenditori del settore calzaturiero delle Marche, che mette così in in evidenza i primi effetti del conflitto anche sulle aziende italiane. Il suo stabilimento si trova a Fermo, ‘cuore’ della zona calzaturiera marchigiana, soprannominata la “Shoe Valley”.
    Fabiani realizza scarpe da donna per cerimonie, posizionandosi così nella fascia luxury, e “l’85% della mia produzione è destinato proprio alla Russia, all’Ucraina, alla Siberia e al Kazakistan. In magazzino abbiamo 4.900 paia di scarpe, per un valore di circa 600mila euro, che erano pronte per essere spedite in quei Paesi e che ora rischiamo di dover buttare via”.
    Perché “le scarpe passano di moda velocemente e non possiamo certo riproporle la prossima stagione”. “Non potendo vendere questo volume importante e non sapendo come andrà a finire la guerra e quanto ancora durerà – aggiunge Fabiani – non sono nelle condizioni di andare avanti per molto e credo che nella mia stessa condizione si trovino anche altri imprenditori del comparto calzaturiero di questa zona, che hanno nel mercato russo il loro core business”. “Bisogna attivare subito gli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione in deroga, altrimenti non ci resterà che chiudere e dire addio alle nostre aziende. Lo Stato ci aiuti”, dice ancora l’imprenditore. “A fine febbraio sono riuscito a pagare tutto, compresi gli stipendi dei miei 25 dipendenti, malgrado l’ordine non spedito – prosegue Fabiani – ma da questo momento in poi non sarò più in grado di far fronte ai pagamenti”. “È una situazione davvero drammatica per le imprese come la mia, anche perché arriviamo già provati da due anni di pandemia”, sottolinea Fabiani. Che racconta anche di aver avuto la chiara percezione che la situazione sarebbe precipitata in Ucraina “quando, qualche giorno prima che esplodesse il conflitto, alcuni buyer di quel Paese ci invitarono a non inviare la merce e loro già si erano rifugiati nei bunker”. (ANSA).
   



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