Gulfstream CAEW, quei due aerei radar diventati gli Stakanov dei cieli che ora l’Italia vuole mandare nel Mar Rosso

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Mar Nero, Baltico, Mediterraneo Orientale e forse presto il Mar Rosso. Dal febbraio 2022 l’attività degli aerei radar italiani Gulfstream CAEW è diventata frenetica: corrono da una zona di crisi all’altra, praticamente senza soste. Mercoledì erano sulla costa romena, ripetendo la rotta ellittica che caratterizza le loro operazioni: indirizzano le potenti antenne e raccolgono ogni informazione in un raggio di circa 350 chilometri, ossia più o meno la distanza che c’è tra la base Nato di Costanza e la Crimea russa. E ieri il ministro della Difesa Guido Crosetto, presentando in Parlamento la nascente missione europea Aspides a largo dello Yemen, ha detto che “l’Italia sta valutando anche la possibilità di fornire assetti aerei con capacità di sorveglianza e raccolta dati”. In precedenza il ministro aveva parlato della presenza nel dispositivo Ue di velivoli da “early warning”, “allarme rapido”: la caratteristica proprio dei Gulfstream CAEW che significa Conformal Airborne Early Warning traducibile come “sistema di allerta rapido aerotrasportato”.

Gli Stakanov dei cieli

C’è solo un problema: la nostra Aeronautica ha soltanto due di questi jet, che stanno macinando un numero di ore di volo mostruoso. In questo caso non è un difetto, anzi. Nessuna aviazione europea dispone di mezzi così avanzati, superiori pure a molti di quelli statunitensi. Si tratta infatti di un sistema modernissimo di produzione israeliana, che unisce un radar a scansione elettronica e sensori infrarosso a un elaboratore basato sull’intelligenza artificiale. Un indicatore del livello di sofisticazione viene dal prezzo: poco meno di mezzo miliardo a esemplare, con un costo per le apparecchiature di sorveglianza che sfiora i quattrocento milioni di euro. Le prestazioni sono fantascientifiche: un aereo con a bordo sei persone davanti agli schermi “copre” tutto il Tirreno dall’Argentario a Lampedusa. In pratica svolge il lavoro che un tempo avrebbe richiesto un’intera rete con dozzine di radar basati a terra e diverse centinaia di militari.

Le caratteristiche uniche fanno sì che la Nato ne invochi in continuazione l’intervento, nei punti più caldi del pianeta. Sono stati in azione in Polonia, tenendo d’occhio l’enclave russa di Kaliningrad, e sul confine Moldavo nei momenti di tensione con la Transnistria anche se l’impiego più frequente è quello in Romania che permette di scrutare i movimenti delle forze di Mosca nel Mar Nero.

L’ombrello anti-Houti

La loro presenza nella spedizione europea nel Mar Rosso potrebbe essere determinante: la capacità delle navi militari di proteggere il traffico mercantile dipende dalla rapidità di avvistamento degli ordigni scagliati dagli Houti. I loro droni sono lenti, ma sono piccoli e vengono costruiti in fibroresina: sfuggono facilmente ai radar basati sulle fregate. I loro missili cruise viaggiano a circa ottocento chilometri orari ma restano a pochi metri d’altezza, confondendo la loro traccia radar con i riflessi della superficie marina. Infine i miliziani usano sempre più spesso missili balistici, che hanno velocità superiori a tre-cinque volte quella del suono e possono essere abbattuti soltanto se vengono individuati al momento del lancio. Se la flotta europea vuole essere autonoma dall’Us Navy – schierata in massa nella zona della crisi – allora deve avere la copertura velivoli radar, ma soltanto Italia e Francia possono metterli a disposizione.

Per adesso l’Aeronautica riesce a gestire il peso sugli equipaggi, anche se i piani di addestramento reale devono fare i conti con i ritmi da Stakanov. E da fine anno cominceranno a essere disponibili i primi degli otto nuovi velivoli di questo modello ordinati nel 2020 dal governo Conte, che in un momento di pace ha varato un programma tanto costoso quanto lungimirante. Di sicuro, oggi piloti e operatori radar del 14mo stormo stanno superando ogni record di impiego. Dietro di loro ci sono probabilmente i cargo Boeing KC767 dello stesso reparto, che hanno gestito il ponte aereo per trasportare gli aiuti bellici all’Ucraina e devono rifornire i contingenti italiani sparsi per il mondo, dall’Iraq al Baltico.

Il logorio della flotta

La nuova operazione europea però evidenzia un’altra questione di stress per mezzi e personale, relativa questa volta alla Marina Militare. L’emergenza nel Mar Rosso vedrà impegnate per almeno un anno due fregate – una con Aspides e una con la spedizione anti-pirateria Atlanta – e dall’invasione dell’Ucraina pure la flotta ha dovuto fare gli straordinari: oltre all’incremento delle esercitazioni Nato, c’è stata la mobilitazione per “tallonare” le navi russe che si infilavano nel Canale di Sicilia e persino nell’Adriatico, e la necessità di presidiare il Mediterraneo orientale. In più, è stata introdotta la vigilanza di gasdotti e cavi sottomarini per evitare sabotaggi come quelli avvenuti nel Baltico. La durata degli imbarchi è spesso stata prolungata senza preavviso, con unità come la “Virginio Fasan” partite per Cipro e poi arrivate fino al Corno d’Africa, saltando ogni riposo natalizio. Dopo due anni il carico su marinai e ufficiali comincia a farsi sentire, oltre al logoramento delle navi: un problema comune a tutte le flotte della Nato, che hanno organici tarati sulla routine della pace e adesso devono solcare le acque tempestose di crisi che non conoscono tregua.

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