Djokovic, la grande paura e l’impressionante riscossa

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Gli adagi popolari raramente ingannano: c’è bisogno che sia Dio a occuparsi degli amici, perché prima o poi finiscono per tradirti. “Io e Nole abbiamo una profonda relazione”, disse qualche tempo fa il serbo Laslo Djere, 28 anni, testa di serie 32 degli Us Open, parlando del connazionale Novak Djokovic. Una gratitudine dovuta anche ad aiuti concreti da parte del recordman di settimane come numero 1 ATP, 389: Nole l’aveva invitato a Dubai per la sessione invernale di allenamento del 2015 e da quell’esperienza la carriera del ragazzo di Senta, in Voivodina, era decollata.

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Alla vigilia del match di oggi, il trionfatore quest’anno a Melbourne e Parigi veniva dato per favoritissimo: 20 a 1, secondo il popolare servizio TNNS. Invece, per un’ora e tre quarti è Laslo a esprimere nell’Arthur Ashe Stadium un tennis stellare che annichilisce Novak. Serve come Sampras, incrocia come Federer, si muove come Alcaraz. Grazie a due break si prende in piena sicurezza i set iniziali (4-6 4-6).

A quel punto Nole, che sembra incapace di reagire, rientra negli spogliatoi, prova a concentrarsi. Alla ripresa, alla risposta mentre è avanti 1-0, ha un’inattesa chance per conquistare il proprio primo break e non la fallisce. È il punto di svolta. Laslo va in confusione, incassa un altro break e poi lascia che l’avversario dilaghi: 6-1. Tocca a lui, ora, puntare sulla passeggiata fino alla toilette per ritrovare la verve dei primi due set. Il tentativo parrebbe avere qualche effetto, visto che il quarto parziale prende il via con un break a testa.

Il saluto a fine match tra Djere e Djokovic

È un’illusione. Gli scambi diventano lunghi e violenti come piace a Nole, che alla lunga piega la resistenza dell’amico di etnia (si può dire o è politicamente scorretto?) ungherese: 6-2. Poi, quasi fosse la replica del quarto di finale di Wimbledon 2022 contro Jannik Sinner vinto da Nole in rimonta (5-7 2-6 6-3 6-2 6-2), il set decisivo è poco più di una formalità, seppure lottata fino all’ultimo scambio: 6-3. Djere merita l’applauso scrosciante del pubblico rimasto fino all’una e mezza di notte sugli tribune.

Sfiorare l’abisso fa bene a Djokovic, che con questa partita durata 3 ore e 46 minuti conferma di avere le risorse atletiche e soprattutto caratteriali – ma lo sapevamo da quindici anni – che fanno di lui, forse, il vero GOAT. A contendergli l’accesso ai quarti di finale lo attende un’altra sorpresa balcanica, il croato Borna Gojo.

Poche ore prima accade che un messaggio sportivo e sociale rilevante arrivi a destinazione forte e chiaro: si può tornare competitive/i a qualsiasi livello anche dopo 36 mesi d’assenza dai campi di gioco. Mesi, si badi bene, che comprendono una seria malattia come l’artrite reumatoide, il matrimonio con l’ex stella della NBA David Lee, due figli che hanno adesso poco più di due anni e meno di uno, lo stravolgimento totale del proprio stile di vita. Per creare la massima enfasi intorno a quanto voleva comunicare, Caroline Wozniacki – danese classe 1990, già numero 1 WTA per 71 settimane, vincitrice degli Australian Open nel 2018 e delle WTA Finals nel 2017, finalista a Flushing Meadows nel 2009 e nel 2014, decine di tornei conquistati in carriera – aveva annunciato personalmente il proprio rientro nel circuito scrivendo sul numero di Vogue di giugno un articolo corredato da scenografiche foto: “Non ho colpito una palla da tennis fino a dopo la nascita di James (il secondo figlio ndr), cioè più di due anni dopo la mia ultima partita. Un giorno, alla fine dell’anno scorso, per caso mi sono trovata a fare scambi per 20, forse 30 minuti, A un certo punto ho guardato mio padre, che era venuto in Florida a trovarci, e gli ho detto: ‘Mi sento come se stia giocando meglio di quanto abbia mai fatto‘. Lui ha risposto: ‘Sembra che ti stia divertendo’. Era esattamente così che mi sentivo: divertita e rilassata, e questo mi ha permesso di vedere tutto più chiaramente”.

Caroline Wozniacki

Ci ha pensato su qualche mese, poi ha deciso che sarebbe stata in campo agli Us Open, se le avessero concesso una wild card. Che ovviamente le è stata assicurata nonostante di fatto non avesse più una classifica WTA. Dopo le due prove generali nei WTA 1000 agostani a Montreal e Cincinnati, per il match di esordio a New York le è stata sorteggiata come avversaria la giovanissima russa Tatiana Prozorova, regolata in scioltezza per 6-2 6-2. Poi, mercoledì, le è toccata una delle sue acerrime rivali del decennio scorso, la pari età ceca Petra Kvitova, testa di serie numero 11 del torneo: quasi il tempo non contasse, Caroline ha lottato come ai vecchi tempi e l’ha battuta 7-5 7-6, senza umiliarla. Il conto dei testa-a-testa è ora a 7-8, la prossima volta tenterà l’aggancio.

Oggi sul campo principale dell’USTA Billie Jean King National Tennis Center mamma Wozniacki elimina in rimonta Jennifer Brady, 28 anni, originaria della Pennsylvania, al momento numero 433 al mondo ma addirittura 13 nel 2021, quando perse la finale di Melbourne contro Naomi Osaka. Dopo un tormentato primo set, Caroline prende il comando degli scambi piazzandosi al centro poco dietro la riga di fondo e da lì sposta orizzontalmente l’avversaria prima di infilarla con i passanti o di costringerla all’errore. L’americana non è in grado di scovare contromisure e il match fila via veloce fino al definitivo 4-6 6-3 6-1. Fisicamente la danese appare perfetta, inguainata com’è nella tuta blu elettrico Adidas mezza da ciclista e mezza da runner che mette in risalto i muscoli allenati. Da come sorride e s’accalora si capisce che se la sta godendo. È nelle condizioni mentali migliori, perché non ha alcunché da perdere. Dovesse uscire dal tabellone domenica contro Cori Gauff negli ottavi di finale, festeggerebbe comunque.

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