Il racconto di Angelina: “Ho denunciato il capo e ora nessuno mi assume. Mi dicevano: fatti toccare o non lavori più”

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«Quello che mi fa più male, non è il pensiero delle sue mani addosso. Di quel corpo viscido contro il mio. O degli attacchi di panico che mi venivano ogni notte, quando mi seguiva in bagno. La cosa che ferisce di più è l’indifferenza dei miei capi. Ho sempre denunciato ogni episodio. Ma facevano finta di niente. Tutti sapevano. Me lo hanno raccontato anche le mie colleghe, che subivano lo stesso mio trattamento. Ma siccome sono stata l’unica a denunciare, mi hanno lasciata da sola». Angelina Castrigano, 49 anni, di Pinerolo, da un anno e mezzo è senza lavoro. È stata lasciata a casa dal caseificio in cui faceva l’operaia dopo che ha denunciato il suo superiore. Un uomo che, secondo quanto ha raccontato la donna ai carabinieri, ogni notte le toccava le parti intime. La procura di Torino ha aperto un’inchiesta per violenza sessuale e ha acquisito i file audio che dimostrerebbero come Angelina non fosse l’unica a subire. Audio in cui si sentono le sue colleghe dire: «Angela fatti toccare, se no non ti fa lavorare, qui funziona così». Castrignano è stata l’unica a trovare il coraggio, assistita dall’avvocata Silvia Lorenzino, di querelare il capo, nella fabbrica dove nessuno parla.

Angelina, come sta?

«Sono disperata. Da quando ho denunciato quel mostro, e non mi hanno rinnovato il contratto, mi hanno fatto terra bruciata intorno. Nessuno mi vuole assumere. Ho contattato 120 aziende e agenzie interinali. O mi negano il colloquio o disdicono l’appuntamento una volta preso. D’altronde, una delle mie ex cape mi aveva avvertita».

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In che senso?

«Quando, dopo un mese di molestie subite, ho detto ai miei capi che avevo intenzione di denunciare l’uomo che mi metteva le mani addosso, mi hanno detto: “Angelina stai attenta, il Pinerolese è una zona dove tutti si conoscono, se lo fai non lavori più”».

Come può dimostrare che la sua denuncia sia collegata al fatto che nessuno le offra un lavoro?

«Ho sempre avuto un’occupazione. Nella vita ho fatto di tutto. L’operaia, la pizzaiola, la barista. Dal mese di giugno del 2022, da quando mi sono ribellata a quelle angherie, anziché accettare che lui mi toccasse come mi consigliavano le colleghe, sono stata ignorata da 120 ditte. Sono tante. Una strana combinazione».

Cosa succedeva in quel capannone, durante i turni di notte?

«Eravamo in 14. Lui si è rivelato per quello che è durante la prima sera. Era la primavera del 2022. Avevo un contratto a termine. Ero al confezionamento formaggi. È passato dietro di me e mi ha toccato il sedere. Sono rimasta allibita. Ho protestato. Lui ha detto: “Al mio paese si fa così”. Gli ho risposto: “Allora vivi nel paese sbagliato”».

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Ha denunciato l’episodio ai capi?

«Certo. La mattina dopo. Sia alla cooperativa che mi aveva assunta che ai vertici dell’azienda. Mi hanno risposto che avrebbero verificato e che non avevano sentito nulla del genere prima di allora. Io però ho scoperto che non era vero. Molte mie colleghe venivano palpeggiate».

E nessuna parlava?

«Si, raccontavano tutto, ma non denunciavano. A me dicevano che mi conveniva farmi toccare perché, se mi fossi ribellata, lui non mi avrebbe fatto rinnovare il contratto».

Ha registrato le conversazioni?

«Sì, per salvarmi. Perché sapevo che querelando lui, l’azienda avrebbe negato tutto».

Dopo la prima molestia, il suo capo ha continuato a toccarla?

«Sì, si è fermato soltanto una sera. Poi ha ripreso. E si giustificava anche. Mi metteva le mani sul sedere e diceva: “Una palpatina si può dare. Io non vado oltre”. Ho iniziato a soffrire di attacchi di panico. Mi chiudevo in bagno per calmarmi. Ma lui mi seguiva».

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Ha continuato a denunciare ai suoi superiori?

«Sì, anche scrivendo. La capa mi rispondeva: “Magari scherza”. Sono sbottata quando una notte lui mi ha infilato le mani in mezzo alle gambe. Ho gridato a squarciagola. Ho deciso che era troppo. Il giorno dopo sono andata dal medico che mi ha detto che soffrivo di ansia. È stato lui a mandarmi al centro antiviolenza che mi ha salvata. Gli devo tutto».

Come hanno reagito le sue colleghe?

«Mi hanno detto che lui faceva così con tutte. Che stavano zitte perché avevano paura di non lavorare più. Una ha aggiunto: “Angelina, ho messo in conto che se vuole toccarmi, che mi tocchi, tanto se parlo, qui nessuno mi crede”».

Lei invece è stata creduta?

«Non dalla ditta. Dal mio medico, dall’avvocata, dalla procura spero. Ma sto ancora male. Ho paura che lui si vendichi. Mi faccio 15 docce al giorno perché sento ancora le sue mani viscide. Non sono guarita dagli attacchi di panico. E non so come tirare avanti. Ho bisogno di lavorare. Ho due figli e un sacco di debiti».

Nessuna azienda l’assume per la denuncia contro il caseificio?

«Sì, è una ditta molto grande. Me l’aveva detto una delle cape: “Se fai causa, non ti chiamerà più nessuno”».

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