Giuseppe Caprotti: “Ecco la vera storia di Esselunga, da Rockeffeller alla morte di mio padre”

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ALBIATEGiuseppe Caprotti, primogenito di Bernardo scomparso nel 2016, apre le porte della storica villa e degli archivi di famiglia, per raccontare 300 anni di storia di una delle dinastie più famose del capitalismo lombardo, in un libro, intitolato “Le ossa dei Caprotti, una storia italiana”, dove si ricostruiscono le origini della nascita di Esselunga, l’intervento della Cia, le Mercedes nere che nel 2004 hanno riportato a casa i dirigenti licenziati in tronco e i litigi con i Barilla e con le Coop.

Perché ha scritto questo libro, solo ora, a distanza di sette anni dalla scomparsa di suo padre?
“Ho scritto questo libro per diversi motivi, e l’ho fatto adesso perché tra cause civili e penali, dopo tutto quello che è successo, solo ora che sono uscito da un lockdown mentale che è durato quasi vent’anni, ovvero da quando sono stato allontanato dall’azienda di famiglia nel 2004. L’ho scritto in primo luogo per i miei figli, perché sappiano chi era loro padre e cosa ha fatto, al di là di quello che è stato raccontato da altri su di me. Non è vero che sotto la mia gestione Esselunga stava andando a rotoli e non è vero che io e i miei dirigenti abbiamo rubato: ho raccontato i fatti, attingendo a documenti e lettere inedite, tra cui quelle di Salvatore Lotta, fornitore storico del gruppo, perché fosse un saggio sulla storia della nascita di una grande azienda italiana”.

Italiana si, ma nata su un’iniziativa di Nelson Rockefeller…
“Sì, quella che diventerà l’Esselunga è un gruppo creato e impostato dagli americani, a cui mio padre si è aggiunto dal 1965 in poi, perché all’epoca della fondazione era impegnato nell’azienda tessile di famiglia. Come diceva Rockefeller ‘è difficile essere comunisti con la pancia piena’, e quale metodo migliore di importare in Italia le idee liberali dell’America di allora, introducendo il modello dei supermercati? Ciò non toglie che mio padre abbia dato un contributo fondamentale, e sicuramente geniale, alla crescita del gruppo”.

E invece qual è stato il suo contributo allo sviluppo di Esselunga?
“Per prima cosa ho introdotto la categoria del non food, che rappresentava 700 milioni di fatturato e un terzo dell’utile di Esselunga, per riempire i superstore – ovvero i negozi più grandi – che io ho portato per la prima volta in Italia. Mi sono occupato dello sviluppo della marca privata, e dell’introduzione dei prodotti biologici, in tempi in cui nessuno parlava di filiera corta e di chilometro zero. Infine, copiando il modello dalla belga Delhaize, abbiamo lanciato il primo e.commerce alimentare con Esselunga a casa, che è stata pioniera nel settore. Un’idea in cui mio padre non ha mai creduto, ma che già allora era un Unicorno e – come dimostrato da Amazon – una tendenza che si andrà affermando sempre più nella gdo”.

Forse Bernardo temeva che l’e-commerce avrebbe cannibalizzato i negozi fisici, che sono sempre stati il suo orgoglio?
“Credo che per lui fosse difficile immaginare un futuro digitale, ricordo che quando sono andato a proporgli il sito di Esselunga mi ha risposto piccato. Poi quando gli ho fatto notare che la Coop ce l’aveva già, mi ha detto: “Facciamolo subito”.

Nel libro si raccontano i litigi tra suo padre e i fratelli, quelli con sua nonna Marianne, quelli con alcuni dirigenti. Mi racconta un episodio bello?
“Ci sono stati anche tanti bei momenti, tra cui quello della vittoria di Esselunga contro Coca Cola presso l’Antitrust, ripresa in prima pagina dal Wall Street Journal. Lo scrivo nel libro, penso che in cuor suo mi ammirasse, ma non sopportava che i figli, ovvero io e mia sorella Violetta che ha introdotto tante novità eccezionali nel marketing, gli rubassero la scena”.

A proposito cosa mi dice della pubblicità della Pesca?
“Che preferivo quella di Piero della FranPesca e di John Lemon del 2001. Nel libro non si parla di questa Esselunga, ma di quella nata dalla Ibec di Rockefeller nel 1947 fino alla morte di mio padre nel 2016”.

Suo padre ha lasciato il controllo dell’azienda alla moglie Giuliana e alla figlia Marina, chiedendo loro di vendere Esselunga a un colosso di standing internazionale. Non l’hanno fatto, come mai?
“Perché quell’azienda è un gioiello, le capisco e non le biasimo. Confesso che se l’avesse lasciata a me avrei fatto lo stesso. Marina, a differenza di me e Violetta, finché mio padre era in vita non ha mai partecipato alla vita di Esselunga. Ma noi eravamo figli di un Dio minore, e forse la vera famiglia di mio padre è sempre stata l’azienda e il gruppo di dirigenti storici di cui si è circondato”.

E lei che padre è stato per i suoi tre figli?
“All’inizio ho emulato l’esempio di mio padre, mi sono buttato nel lavoro e ho trascurato soprattutto il mio primogenito. Ho capito i miei sbagli, anche prima della rottura con la mia famiglia, e ho cercato di rimediarvi”.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?
“Sono coinvolto e mi occupo da anni a tante operazioni sul non-profit tra cui la fondazione dedicata a mio nonno materno Guido Venosta, che dopo aver fatto tante cose concrete per il Covid, ora si sta dedicando agli effetti collaterali che la pandemia ha avuto sui giovani, e soprattutto su quelli che hanno bisogno di aiuto psicologico. I proventi del libro saranno devoluti a queste fondazioni benefiche”.

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