Monsignor Antonio Staglianò: “Mi piace Sanremo e ascolto Mengoni, Baglioni e Guccini. Con le canzoni insegno la fede”

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Città del Vaticano — «Le canzoni di Marco Mengoni non sono solo belle. Sono capolavori che mi ispirano per parlare ai giovani dei loro problemi ma anche di fede, cristianesimo, Vangelo, di Cristo — figlio di Dio e uomo vicino agli uomini — che salva il mondo. Come pure ammiro le musiche di Battisti, Battiato, Baglioni, Venditti, Cocciante, Dalla, Guccini e di tanti altri cantautori che cito negli incontri pastorali». Ad Amadeus e al festival di Sanremo, che domani apre i battenti, arriva, a sorpresa, anche la “benedizione” dal Vaticano. A impartirla, simbolicamente, è il più alto prelato in materia di teologia — dopo il Pontefice — da poco più di un anno nominato da papa Francesco Presidente della Pontificia Accademia teologica.

È monsignor Antonio Staglianò, 64 anni, una vita dedicata a promuovere «fede, umanesimo e bellezza del cristianesimo» — dice quando parla della sua scelta vocazionale — da seminarista, da parroco e da vescovo di Noto, in Sicilia, retta per 14 anni. Scelto da Bergoglio a presiedere la più importante istituzione teologica vaticana anche per il modo originale con cui parla ai giovani attraverso quella che lui chiama la Pop theology, ovvero diffondere la Parola in maniera popolare, libera da antichi schemi, fedele al Vangelo. Una scelta pastorale messa a frutto — racconta — servendosi «degli strumenti di dialogo e di conoscenza più usati da ragazze e ragazzi, le canzoni e gli autori che amano».

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Di Mengoni è un grande fan e non lo nasconde: «Ho conosciuto le sue canzoni — racconta — quando ero vescovo di Noto. Fu don Bruno Carbone, un prete della mia diocesi, a regalarmi un suo cd, con una canzone che mi colpì molto, Esseri umani. “Attento che questo cantante”, scherzò don Bruno, “con le sue canzoni ti ruba i temi delle tue prediche”. Mi piacque subito e da allora lo seguo. L’ho ammirato quando vinse il Festival del 2013 con L’essenziale e poi nel 2023 quando ha rivinto con Due vite, testi carichi di umanità e metafisica, con buona pace del filosofo Massimo Cacciari, che da poco ha scritto per Adelphi Metafisica concreta. Ora con Amadeus conduce il Festival, che con le sue canzoni ancora ci farà pensare su gioie, dolori, sofferenze, speranze del mondo».

La “folgorazione” di Staglianò sulla via del pop non nasce all’improvviso. «Fin da giovane, anche da seminarista — rivela — ho sempre amato i cantautori, le cui composizioni con gli amici tante volte le cantavamo sulla spiaggia con le nostre chitarre. I loro testi mi hanno sempre interessato perché parlano della vita, della quotidianità, delle cadute e delle risalite, delle sconfitte e delle vittorie, di amore dell’anima e del corpo, che è il dono più grande di Dio, aiutandomi a parlare di fede e teologia specialmente con i giovani».

Sanremo è sempre stata la sua fonte privilegiata: «Cito spesso, oltre a Mengoni, brani come Chiamami ancora amore di Vecchioni, Vuoto a perdere di Noemi, Fatti avanti amore di Nek». Ma il testo che ha sempre difeso con più forza è Dio è morto di Francesco Guccini, portato al successo anche dai Nomadi: «È una canzone bellissima, profonda, che parla della resurrezione di Cristo tre giorni dopo la morte di Dio, una provocazione di fronte ai mali del mondo, guerre, povertà, sopraffazione, lotte politiche. La Rai del tempo che la censurò non capiva né di teologia, né di cristianesimo, valori pienamente presenti in Dio è morto. La censurarono per fare un favore alla Dc ma per fortuna la Radio Vaticana la trasmise in anteprima col placet di Paolo VI, salvandola dall’oblio. E oggi è ancora di stretta attualità. Purtroppo».

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