Il privilegio del maschio: tra politica, economia e media i numeri dello squilibrio di genere in Italia

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Ministre sì, ma in molti casi senza portafoglio. Candidate – nel Parlamento, nei consigli comunali e regionali – sì, perché lo impone la legge, ma elette molto meno degli uomini. Macchina operativa sì, nelle università e nei media, ma senza poter ambire ai ruoli di vertice. Altro che squilibrio di potere: la presenza delle donne nelle posizioni apicali quando parliamo di politica, società, informazione resta ancora bassissima.

Una novità? “No, e proprio qui sta il problema: che siamo messi male, e le cose non cambiano. Mentre raccoglievamo questi dati, quando trovavamo percentuali di donne al 25% lo consideravamo positivo, ma il solo fatto di pensarlo fa capire quanto la situazione generale sia disastrosa”: Davide Del Monte è presidente dell’associazione info.nodes e onData pubblica oggi il report annuale “Sesso è potere”, che analizza appunto la rappresentanza femminile in Italia e quanto questa detenga – o meno – il potere. E, ancora una volta, non sono buone notizie.

Governo Meloni, la scarsa presenza di donne

Certo, per la prima volta nella storia italiana c’è una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (tralasciando la sua richiesta di usare il maschile, “il presidente”), ma che questo non voglia dire automaticamente un maggior coinvolgimento delle donne nei ruoli chiave lo dicono i numeri: su 600 seggi totali tra Camera e Senato sono 200 quelli occupati da donne. Alla Camera (i dati sono di Openpolis) le donne sono 129 su 400 (il 32,2%), al Senato poco di più (71 su 206, il 34,5%). Se possibile è andata peggio che nella legislatura precedente, quando le donne elette erano state 334 su 945 seggi, pari al 35% del totale. I numeri del governo non sono meglio: oltre a Meloni, su 24 ministri solo 6 sono donne (e i 5 sottosegretari sono tutti uomini), ma dei 15 ministeri con portafoglio, quindi con capacità di spesa, solo 3 sono guidati da donne che, indovina un po’, sono invece la maggioranza dei ministri senza portafoglio.

Ancora nomine, ma di ambasciatori: il rapporto (che si basa su fonti aperte di istituzioni o enti, integrati da ricerche aggiuntive) ne censisce 128, di cui solo 20 donne, il 15,6% del totale, anche se – si ricorda – due ambasciatrici hanno ruoli di peso, e sono Maria Angela Zappia a Washington e Emilia Gatto in Corea del Sud.

Comuni e regioni, tra sindaci e sindache lo squilibrio è garantito

Cambiano le istituzioni ma non lo squilibrio, e Comuni e Regioni sono esempi sempre evidenti di come le leggi che dovrebbero ridurre il gender gap nella rappresentanza politica riescano, nel migliore dei casi, ad aumentare obtorto collo il numero di candidate, ma mai quello delle elette.

Perché se nell’84,7% dei comuni italiani (6.594 in numero assoluto) c’è un sindaco e solo nel 15,3% una sindaca, questo dato scende ulteriormente se si considerano i 42 comuni italiani con più di 100mila abitanti: solo 3 (il 7,1%) le sindache, ovvero Laura Castelletti a Brescia, Matilde Eleonora Celentano a Latina e Katia Tarasconi a Piacenza. E in nessuna regione il numero dei sindaci maschi scende sotto il 78%. Va meglio quando si passa a censire le giunte comunali: le donne in questo caso arrivano addirittura al 43,48%, 9.065 assessore contro 11.784 uomini, e qui conta sicuramente l’impegno necessario che nelle campagne elettorali i candidati sono costretti a fare, cioè di assicurare la parità di genere nelle giunte. E si torna a poco più di una su tre, invece, quando si parla di consigli comunali: perché la legge che impone la doppia preferenza di genere porta sì più donne nelle liste, ma poi non vengono votate.

Nei Comuni, ma anche nelle Regioni: su 20, 19 sono guidate da uomini con l’unica eccezione della presidente umbra Donatella Tesei, le giunte sono composte dal 72,22% di uomini (in numeri assoluti 104, contro 40 donne), i consigli regionali hanno sui banchi 651 uomini (76,05%) e 205 donne (23,95%).

Qui entra in gioco un aspetto: se anche le donne non votano le donne, tutte le quote rosa non potranno mai bastare. In questo, ragiona Del Monte, molto potrebbero fare i movimenti di piazza, che ora – con le manifestazioni contro i femminicidi – “sembrano riprendere una forma di lotta radicale, con una sorta di mobilitazione permanente delle donne in cui lo slogan ‘bruciamo tutto’ è un’ottima sintesi”.

Banche e società quotate: quante donne ai vertici?

Quando il potere è quello economico, le cose non cambiano. “Sesso è potere” analizza la presenza femminile nei ruoli apicali delle società controllate o partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nelle 50 prime aziende quotate alla borsa di Milano e nei 10 maggiori gruppi bancari italiani. I risultati? Tra le aziende quotate solo 2 su 48 ceo sono donne, gli amministratori delegati delle prime dieci banche sono tutti uomini tranne Elena Patrizia Goitini della Banca Nazionale del Lavoro. Infine, sulle 35 aziende controllate o partecipate dal ministero dell’Economia e delle Finanze 32 sono amministrate da uomini e 3 da donne. Ancor peggio? Delle 6 società partecipate quotate in Borsa neanche una è guidata da una donna. Tra economia, politica e società ci sono le Autorità indipendenti: delle 11 elencate sul sito del Senato, 8 sono guidate da uomini e 3 da donne.

Donne alla guida delle università: ecco i numeri

Soltanto da pochissimo una buona notizia è arrivata: l’assemblea dei rettori ha eletto Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’Università Bicocca di Milano, presidente della Crui. Un segnale importante, a fronte di 84 atenei associati alla Crui con 73 rettori e 11 rettrici, anche se il rapporto non ha potuto registrare un nuovo nome, quello della neoeletta rettrice di Messina Giovanna Spatari, che però non sposta di tanto la percentuale che è dell’86% di uomini.

Dei 12 enti di ricerca pubblici riconosciuti dal ministero dell’Università e della Ricerca, solo 2 hanno presidenti donne, il CNR (Maria Chiara Carrozza) e l’Area Science Park (Caterina Petrillo).

La presenza delle donne nei media

Infine, ma come spiega Del Monte a nome di un numeroso gruppo di lavoro, con un ruolo molto importante in questa storia, c’è il capitolo informazione, un mondo dominato dagli uomini in cui le donne sono un numero molto alto nelle redazioni, ma in cui – prendendo in considerazione le prime 20 testate nazionali, solo due sono guidate da direttrici: Stefania Aloia al Secolo XIX e Agnese Pini al Quotidiano Nazionale. Sui telegiornali, nelle 10 testate nazionali prese in considerazione, tutti sono guidate da uomini, con la recente nomina di Cesara Buonamici come direttrice ad personam del Tg5. Eppure, sostiene Del Monte, proprio l’informazione potrebbe essere un veicolo con tempi di reazione più brevi della politica e dell’educazione per “scardinare una situazione di privilegio evidente, in cui a parole siamo tutti d’accordo, ma poi quando si tratta di cedere il potere nessuno lo fa”.

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