Muore al parto con il suo bambino. L’ira dei familiari: “Diteci perché”

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Doveva essere il giorno della gioia, si è trasformato nell’incubo più nero. Una mamma di 39 anni, Candida Giammona, e il suo bambino appena partorito sono morti. “Se ne sono andati via allo stesso orario, in due ospedali diversi – dice con lo sguardo perso nel vuoto Maria Alario, la madre della signora – tutti e due alle 12,40 della domenica più brutta della mia vita”.

Candida Giammona era arrivata alla clinica Candela, venerdì mattina, per dare alla luce il suo bambino. Era al termine della trentanovesima settimana ed era raggiante, anche se un po’ stanca per il suo pancione diventato troppo grande. Dopo 16 ore di ricovero, la stimolazione del parto e un cesareo d’urgenza, qualcosa è andato per il verso sbagliato. Fino all’irreparabile. I medici del reparto di Ginecologia dell’ospedale Buccheri La Ferla hanno tentato un disperato intervento per strappare la donna alla morte.
Candida Giammona era sposata e mamma di una bambina di due anni, il nuovo arrivato si sarebbe chiamato Leon. “Ci hanno detto che l’utero era scoppiato. Ma perché non lo hanno asportato direttamente al momento del parto? Perché è morta mia figlia?”, si dispera Maria Alaimo davanti all’ospedale Buccheri La Ferla. Seduto per terra il marito della vittima, con la testa fra le mani.

I familiari hanno sporto denuncia alla polizia, la procura ha aperto un’inchiesta e le due salme, ma anche la placenta e le cartelle cliniche, sono state sequestrate. “Siamo rispettosi di un evento drammatico e del dolore dei familiari. La paziente era affetta da una patologia che raramente determina complicanze di questo genere. Aspettiamo l’esito degli accertamenti”, dicono dalla direzione della clinica.

Piange Maria Alario: “Anche sulla fine del bambino non sappiamo molto”. E racconta: “Siamo rimasti davanti alla clinica per una notte intera, senza che nessuno ci dicesse niente. Poi un medico mi ha consegnato il borsone di mia figlia. Non capivo. Poco dopo è passata mia figlia su una barella ed è stata caricata su un’ambulanza. Era già morta, lo avevo capito. Quell’ambulanza l’abbiamo dovuta inseguire perché nessuno ci ha detto dove la stavano portando”.

Candida era arrivata alla clinica Candela alle 8,30 di venerdì. Alle 9,52, a travaglio già indotto, ha inviato un selfie alla mamma. “Preparati, fra tre giorni stringerai fra le braccia il tuo nipotino Leon”, il messaggio che accompagnava la foto. Alle 13,11 un’altra foto, stavolta durante il tracciato. Tutto stava procedendo come da protocollo. Trenta minuti dopo mezzanotte Candida ha inviato un altro messaggio al marito: “Sono in bagno, ho sentito qualcosa, c’è sangue”. Lui ha cercato di rassicurarla, le ha consigliato di chiamare un medico. Alle 3,20 il marito ha battuto i pugni sul portone della Candela per avere notizie della moglie. “Ormai – dice Maria Alario – eravamo in ansia. Alle 6 è arrivata un’ambulanza e mia figlia è stata portata via”.

Al Buccheri la paziente è arrivata in arresto cardiaco, dopo un’ora di manovre il cuore è ripartito. Ma le condizioni della donna e del bambino, che da solo ha lottato all’ospedale Civico, erano ormai troppo gravi.

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