Gli imprenditori politici della paura

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Un popolo di spaventati? Si consideri innanzitutto un segnale in apparenza eccentrico: le cronache da tutta Italia e, in particolare, dalle province e dalle periferie urbane raccontano il diffondersi di una moltitudine di figure dell’Apocalisse. Un’Apocalisse casereccia e dilettantesca, autoprodotta e talvolta dialettale, eppure dotata di tutti i tratti propri di una catastrofe annunciata. È un pullulare di profeti e veggenti, testimoni deliranti di eventi miracolosi e preconizzatori delle piaghe d’Europa.

Ecco i segni: apparizioni mariane e fiere che aggrediscono gli umani, decessi misteriosi e messaggi dall’extra-spazio, fenomeni di telecinesi e roveti che ardono, guarigioni non spiegabili e annunci di conflitti bellici in tutti gli angoli del mondo. E invasati di ogni insania mentale, penitenti e predicatori.

Lo scenario evoca una sorta di millenarismo tascabile, che costituisce la manifestazione grottesca di tendenze profonde che percorrono le nostre società: e si addensano nel sentimento primordiale e attualissimo della paura. Grandi Spaventi e piccoli stress.

La micidiale sequenza rappresentata dall’epidemia di Covid, dall’aggressione della Russia all’Ucraina, dalla nuova guerra in Medio Oriente e dalle tante catastrofi naturali ha scosso il sistema nervoso dei cittadini e ha condizionato l’inconscio collettivo.

L’intreccio tra pandemia, guerra e collasso ambientale ha richiamato passaggi d’epoca che — fatte le debite proporzioni — evocano i secoli definiti «bui».

Ciò che tiene insieme tempi così irreparabilmente lontani è, appunto, la paura. Un sentimento vertiginoso che si manifesta proprio nell’eterno ritorno di incubi arcaici; e che si proietta pervasivamente sulla vita sociale e sull’esistenza degli individui.

La Grande Paura si frantuma, così, in un pulviscolo di piccole ansie, di minute inquietudini, di infiniti allarmi. È la paura come emozione fondamentale dell’uomo, di cui scrive Roberto Escobar in un libro recente pubblicato dal Mulino (I volti della paura): un sentimento che non è nemico della condizione umana, ma sua parte integrante. In quanto vive di una relazione intima con la percezione del pericolo e con la domanda di protezione.

Qualche giorno fa, Ilvo Diamanti, su questo giornale, scriveva di come gli italiani temano la globalizzazione: ovvero «l’influenza di ciò che avviene nel mondo sulla nostra vita». E ne individuava la radice in una sensazione di impotenza: non poter decidere del proprio destino, condizionati come si è da altri e da un altrove. E aggiungeva che le paure si avvicendano «una dopo l’altra, anno dopo anno, senza che una prevalga e sovrasti tutto e tutti».

Italiani spaventati dal clima impazzito, ma ora tra le paure c’è anche la guerra

E ciò corrisponde a quelle «continue scosse emozionali» descritte dal più recente rapporto Censis. Vi si legge che l’84% degli italiani è impaurito dal cambiamento climatico, che il 73,4% ritiene imminente una rovinosa crisi economico-sociale che produrrà disordini e violenze; e, ancora, che il 59,9% ha paura di un conflitto mondiale nel quale verrebbe coinvolta l’Italia.

L’Italia secondo il Censis: un Paese di “sonnambuli”, senza direzione e presto senza giovani

All’ombra di tutto questo, in uno stato di emergenza diventato cronico e ridottasi al minimo la capacità di distinguere tra allarmi veri e allarmi falsi, tra minacce reali e paranoie, tra disastri irreversibili e tensioni sociali negoziabili, si acuiscono le piccole paure. Quelle più legate alla vita quotidiana e al disordine urbano.

In Italia, gli omicidi volontari sono passati dai 1.476 del 1992 ai 314 dello scorso anno. I reati di strada, quelli che colpiscono il cittadino comune e provocano maggiore allarme, hanno conosciuto una parallela curva discendente. E, tuttavia, nell’ultimo periodo registrano una modesta impennata. Ed è proprio su questi reati che si concentra l’azione del governo. Quasi seguisse un parossistico copione televisivo, puntualmente costruito sugli allarmi lanciati dalle trasmissioni gestite dalla destra, i provvedimenti sulla sicurezza hanno riguardato finora gli scippi sui mezzi di trasporto, le occupazioni abusive di case, i blocchi stradali, le scritte sui muri e sugli automezzi delle forze di polizia, i rave e le offese al decoro urbano. Fatti che possono risultare, anch’essi, gravi, ma che rappresentano le increspature temporanee e superabili di uno stato di angoscia che come detto si fonda su ansie collettive di ben altra drammaticità. Ma i nostri governanti giocano fino in fondo questo mediocre ruolo di imprenditori politici della paura. Ossia esasperano mediaticamente gli stati di incertezza e insicurezza, li trasferiscono nella sfera pubblica e li trattano politicamente ed elettoralmente, traducendoli in altrettante «grida». Tanto diffuse all’epoca nel Ducato di Milano che, nel 1688, veniva pubblicata una raccolta con il titolo Gridario generale. Ecco, la produzione normativa del governo Meloni in materia di sicurezza fa proprio pensare a un gridario generale sfiatato e sostanzialmente futile. E anche allora avevano un ruolo cruciale i «banditori».

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