Svimez, al Sud un lavoratore su quattro sotto i 9 euro. Il Pil risale, ma l’industria resta indietro e il precariato dilaga

Pubblicità
Pubblicità

ROMA – Il Mezzogiorno ha accompagnato la crescita del Paese nel Biennio della pandemia e continuerà a farlo anche quest’anno, ma si tratta di uno sviluppo non uniforme, concentrato in alcuni settori, come il turismo e le costruzioni, mentre industria, ricerca e sviluppo restano indietro, pur con delle punte particolarmente avanzate. C’è inoltre una maggiore concentrazione di lavoro povero, un occupato su 4 guadagna meno di 9 euro l’ora, aspetto che frena i consumi. Divari che il Pnrr non riuscirà a colmare del tutto: in particolare le linee di investimento sugli asili e le scuole continuano a lasciare indietro il Mezzogiorno, e la metà degli investimenti a rischio, indicati dalla terza relazione sul Pnrr del ministro Raffaele Fitto, riguardano proprio il Sud. Lo spiega il direttore della Svimez Luca Bianchi, nella presentazione del Rapporto Annuale, stamane alla Presidenza del Consiglio. 

Le previsioni sul Pil

Dopo un biennio di forte crescita del Mezzogiorno, tra il 2021 e il 2022, la Svimez stima una crescita del Pil italiano del +1,1% nel 2023, con una crescita nel Mezzogiorno (+0,9%) di soli tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2%). E con il pieno utilizzo delle risorse del Pnrr potrebbe andare anche meglio, il Pil del Sud potrebbe far segnare già  nel 2023 una crescita superiore di circa 5 decimi (fino all’1,4%) e di circa 4 decimi nel Centro-Nord.

Salario minimo, il sondaggio: d’accordo tre quarti degli italiani. Pregliasco: “Favorevoli anche gli elettori di centrodestra”

Latitano gli investimenti ad alto potenziale di sviluppo

Ma la crescita nel Mezzogiorno continuerà ad avere forti squilibri, latitano in particolare gli investimenti nelle filiere produttive strategiche a elevato contenuto di innovazione, che possono anche contrastare fattivamente la fuga di competenze. Un esempio per tutti: I CdS, che finanziano grandi investimenti industriali nel Sud, e che appaiono uno strumento particolarmente attrattivo per le imprese, secondo i dati aggiornati di Invitalia hanno già finanziato progetti per 4,5 miliardi di agevolazioni che hanno attivato un totale di 12,3 miliardi di investimenti. Mancherebbero però all’appello 51,6 miliardi di investimenti potenzialmente attivabili nella misura in cui tutte le domande in fase di istruttoria venissero ammesse.

Molte costruzioni, poca industria

Il contributo alla crescita dell’industria in senso stretto si è fermato a circa 10 punti nel Mezzogiorno contro i 25 del Centro-Nord. Viceversa, nel Mezzogiorno le costruzioni hanno contribuito alla crescita ben sette punti al di sopra di quanto avvenuto nel resto del Paese. Mentre fatto 100 il dato di crescita del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio 2021-2022, i servizi hanno contribuito per 71 punti nel Mezzogiorno e per 64 nel Centro-Nord.

I servizi più avanzati di informazione e comunicazione e quelli professionali sono la branca che ha fornito il maggior contribuito in tutto il Paese, ma in maniera ancor più pronunciata nel Centro-Nord. 

E quindi i laureati continuano a scappare

Le scarse opportunità offerte da investimenti e lavoro di qualità continuano dunque a spingere la fuga dei cervelli. Tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Tra il 2001 e il 2021 la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) si è più che triplicata, da circa il 9 a oltre il 34%. 

Dei 460.000 laureati che si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord tra il 2001 e il 2021, si stima che circa 130.000 erano in possesso di una laurea Stem. Nel solo 2021 circa 9.000 laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno (su un totale di 27.000) possedevano competenze Stem: un terzo dell’investimento meridionale in competenze scientifiche e tecnologiche si è “disperso” a favore dei sistemi produttivi diversi da quelli insediati al Sud.

5 milioni i sottopagati nell’Italia del lavoro povero

Un lavoratore su 4 guagnagna meno di 9 euro l’ora

Il lavoro nel Mezzogiorno è cresciuto, e ha recuperato i livelli Pre-Covid, ma si tratta di un lavoro più povero e malpagato rispetto al resto del Paese. Dei circa 3 milioni di lavoratori al di sotto dei 9 euro in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione), censiti dall’Istat, circa 1 milione vivono nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti). Al Sud c’è anche un peso maggiore dei contratti a termine.

L’apporto del Pnrr: insufficiente in alcune aree

Complessivamente, fino al 2027, l’impatto cumulato del Pnrr sul Pil italiano potrebbe raggiungere un valore pari a 5,1 punti percentuali: 8,5 al Sud e 4,1 nel Centro-Nord, stima la Svimez. E dunque potrebbe persino chiudere il divario storico tra le aree del Paese. Tuttavia, non sarà così perché le risorse non arriveranno in misura proporzionale ai bisogni: per i 10,7 miliardi assegnati alle amministrazioni locali, spiega la Svimez, non c’è correlazione con i bisogni effettivi della collettività. Questo avviene in particolare per gli asili nido e più in generale per l’edilizia scolastica.  

Non è detto inoltre che tutti gli investimenti raggiungano il loro obiettivo, soprattutto in questo momento in cui tutto è in discussione: nella terza Relazione sul Pnrr presentata dal ministro Fitto, ricorda la Svimez, sono evidenziati gli 83 interventi che presentano i maggiori elementi di debolezza e quindi il maggior rischio di fallimento rispetto ai target del Pnrr. Il valore complessivo di questi 83 interventi ammonta a 95,5 miliardi euro, di cui circa 45 miliardi di euro riferibili alla cosiddetta “quota Sud”.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *