La scuola, il teatro e il centro sociale: il mondo di Ilaria Salis prima del carcere

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MONZA – Tra queste colonne antiche è nato lo spirito libero di Ilaria Salis, ma gli studenti di oggi non hanno neanche fatto un’assemblea, per l’ex ragazza detenuta a Budapest. Eppure, nelle stanze dell’austero ginnasio liceo Zucchi c’è stato un tempo in cui si occupava e discuteva, e quell’imprinting è rimasto addosso ad alcuni, altri l’hanno perso per strada. “C’era voglia di cambiare le cose. Lei forse ha sentito di più quella spinta, e l’ha portata avanti fino a oggi”. L’avvocato civilista Giovanni Croce ha poi riconosciuto la compagna di studi in televisione, incatenata e cinghiata come si faceva in un altro tempo, quando a Monza governavano i duchi longobardi, “e lì mi sono detto: che coraggio! Ilaria è andata fino alla tana del lupo”.

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Le radici di Ilaria Salis

Le radici sono quindi qui, tra lo Zucchi e le varie sedi del centro sociale Foa Boccaccio, dove Foa sta per Fabbrica Occupata Autogestita, e non è vero che Ilaria lo ha fondato, ma è vero che con quel gruppetto ha imparato la politica, e dal primo Collettivo Monzese è nato un impegno ancora più forte, ma nessuno di quanti frequentavano il liceo a fine Novanta la ricorda come una pericolosa rivoluzionaria, una sovversiva, la barricadera aggressiva poi raccontata dal ministro Salvini. Piuttosto, “una persona calma, tranquilla, con buone relazioni con i compagni e con i professori”, ha ricordato il sindaco Pilotto, già suo insegnante di religione. Molto brava a scuola, andava in montagna sulla Grigna, e così ha continuato a fare anche da grande. Scuola e sport, e politica.

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L’impegno sociale

Ma cos’era la politica per quegli studenti, lo spiega ancora l’avvocato Croce: “C’era la questione del tetto, era pericolante e nessuno faceva niente. C’era un forte impegno sociale. Abbiamo imparato ad autodeterminarci, a non essere passivi: se la regola è sbagliata, si può trovare una regola diversa”. E c’erano insegnanti che partecipavano all’autogestione, “ci invitavano a fare, a cambiare le cose”. Oggi è tutto diverso, e se si prova a parlare con la ragazza Giorgia, 18 anni, appena uscita da lezione, lei di Ilaria Salis non sa proprio niente. “Mi dispiace, mi informerò. No, non abbiamo parlato di lei in classe. No, non abbiamo fatto assemblea. L’abbiamo fatta per la morte di Giulia Cecchettin, però”.

Il liceo Zucchi di Monza, frequentato da Ilaria Salis

Una città divisa

“In realtà se ne è parlato, in un incontro organizzato nella due giorni di didattica alternativa”. Giorgia non c’era, c’erano altri ragazzi che probabilmente usciranno con l’imprinting di Ilaria. L’impegno. E magari andranno in Statale a Milano, e prenderanno come lei una laurea in Storia, tesi su Sant’Ambrogio, il che non è mica facile, o banale. Diventeranno insegnanti precari, come era lei prima dell’arresto. Non maestra elementare, ma precaria tra le scuole medie di Como e Milano, una supplenza via l’altra, a 39 anni. Antonio Marino, docente di matematica e fisica: “Che orrore, nel vedere una donna incatenata come non si deve fare neanche con gli animali. La città? Per metà indifferente, l’altra metà partecipe, impegnata nella battaglia per riportarla qui, dove potrà scontare una pena, ma commisurata a quello che ha fatto, non certo i 24 anni richiesti. Chiunque sia sincero democratico non può che pensare così”.

La petizione

Su change.org la petizione “Riportiamo Ilaria in Italia” viaggia sulle 120mila firme. E in centinaia di ex studenti del liceo Zucchi hanno firmato l’appello “Ilaria Salis Libera”. Dentro c’è di tutto, politicamente parlando. Persone che votano centrodestra, non solo di sinistra più o meno spinta. Antonio Piemontese, giornalista: “Ilaria era una silenziosa, che parlava poco. Dolce, anche. Fatico a immaginarla in un’azione violenta”, tipo quella astutamente evocata da Salvini, il banchetto della Lega rovesciato (era il 2017), episodio per cui venne però assolta, e completamente. Serena Psoroulas, oggi ricercatrice di fisica in Svizzera, l’ha raccontata come “battagliera, ma non violenta”. E visto che le piaceva il teatro, aveva messo in scena le Troiane di Euripide, e anche “Se questo è un uomo” di Primo Levi, proprio nel centro sociale Boccaccio.

Il centro sociale Boccaccio

“Quando Ilaria era allo Zucchi – sezione A, la più dura – io facevo il rappresentante di istituto”, dice Piemontese. “Eravamo insieme al Foa Boccaccio, nell’ex fabbrica” affacciata sul parco della Villa Reale, poi sgomberata e oggi abitata da un clochard solitario, nelle rovine di una tessitura, e sotto scorre il Lambro pieno di schiuma. Il carroponte ancora visibile, “lì facevamo le nostre feste, ma soprattutto discutevamo di politica”. La nuova Monza antifascista, dopo quella partigiana. Ilaria c’era. Resistono scritte antiche, “Siamo tutti ribelli”, “ribellati al capitale, pretendi giustizia, informati” (e anche un più tardivo “Mi hai impicciato u cor”). Dopo lo sgombero, il trasferimento in un’altra ex fabbrica di via Timavo, ma oggi anche questa è vuota e cadente, il tetto distrutto, le scritte fiammeggianti in veloce scolorimento. Poi, il Foa Boccaccio esiste ancora, e persino nelle vie del centro, tra un caffè Teodolinda e i negozi dello stralusso monzese, compaiono gli adesivi del ventennale, “2003-2023, un amore senza fine”.

Il centro sociale Boccaccio, oggi abbandonato

“Negli anni Ottanta noi avremmo fatto un presidio continuo”, dice un altro prof. Silvano Ilardo, docente di teatro classico allo Zucchi: “Gli studenti di oggi sono attenti, hanno Facebook, Instagram… Ma non scendono in piazza”, eppure questa è una scuola “dove si impara”. Intende a essere cittadini, a partecipare. E si vedrà lunedì, come andrà la manifestazione promossa “dai consiglieri comunali della maggioranza di centrosinistra e dalle associazioni, dalla Rinascente fino all’Arengario”, dice Valerio Imperatori, che è segretario cittadino del Pd. Nel regno del Berlusconi che fu, poi incredibilmente strappato al centrodestra con la vittoria del sindaco Pilotto, nel cuore di Monza, così ricca, borghese, in questa Brianza felix.

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